venerdì 15 aprile 2016

Marione a caccia di anatre su Italia Oggi.

Riportiamo la versione integrale di un'interessante e molto feticistica intervista di Andrea Secchi a Mario Calabresi apparsa oggi su Italia Oggi e pubblicata dal sito Cinquantamila Giorni di Giorgio Dell'Arti:

Repubblica cambia i suoi tempi

ItaliaOggi, venerdì 15 aprile 2016


«Ieri alle 8 del mattino c’erano 30 persone a Repubblica... a Roma, che non è male. Tanto che ho fatto una foto e l’ho messa su Twitter e subito una persona mi ha risposto: “Un miracolo, ma siete veramente a Roma?”». 

Mario Calabresi scherza davanti alla platea dello Iab Seminar a Milano, ma non più di tanto: mercoledì, al suo 90esimo giorno alla guida del quotidiano del gruppo Espresso, ha portato a casa la vittoria nelle due sfide che ha lanciato ai redattori appena arrivato in via Cristoforo Colombo: ovvero convincerli che era finita «la battaglia della sera, la sfida a chi chiudeva più tardi durata un secolo e mezzo per avere l’ultima notizia» e che invece sarebbe cominciata la «battaglia del mattino» visto che alle 7 a Repubblica non ci poteva essere a lavorare una persona sola.

Perché tanto «l’ultima notizia sarà sempre superata un minuto dopo e il giornale di carta, per quello che ancora ci sarà, dovrà essere un’altra cosa», mentre lo scopo del quotidiano, spiega a ItaliaOggi in questa intervista, è andare a raggiungere i lettori dove si trovano, una vera caccia alle anatre come dicono gli americani.

Sembra comunque che le due battaglie non siano state cruente. Perché Calabresi racconta come stia riuscendo a coinvolgere i suoi redattori senza diktat. Come ha fatto per i Live di Facebook: le trasmissioni video in diretta che appaiono sul social e sul sito di Repubblica.it. «Ho capito che se dentro il giornale le cose non vengono presentate come ’dobbiamo fare questo’ ma ’abbiamo questa occasione, chi di voi ci vuole mettere la faccia?’, alla fine si partecipa. Con i Live è successo che mi chiamavano e dicevano: senti io potrei andare alle 6 del mattino a fare questa cosa, io vado alle 2 di notte... abbiamo fatto 40 video in diretta. E soltanto dalle 3 del pomeriggio a mezzanotte abbiamo fatto Live visti da 1 milione e 800 mila persone».


Quali altre cose ha in mente ancora per questa messa a punto, o forse trasformazione, di Repubblica?

«Trasformazione sì, riorganizzazione... La cosa fondamentale era cambiare i tempi della giornata, avere una presenza vera alle 8 del mattino. Noi ora facciamo la riunione alle 8,15, io ci sto andando tutte le mattine e sono presenti tutti i settori del giornale tradizionali, più la parte che si occupa del visual (i video, ndr), dei social, dell’integrazione tra le piattaforme, e tutti insieme facciamo il punto su cosa lavorare. Deve contare che Repubblica ha 400 giornalisti e nove redazioni in giro per l’Italia, i corrispondenti, il primo passaggio fondamentale è di avere questa rete attivata».

Il secondo?

«La riunione tradizionale è stata spostata dalle 11 alle 11,30 e ridotta a un’ora dalle due precedenti. E si fa in uno spazio differente rispetto all’ufficio centrale in cui si faceva prima. Così il cuore del giornale, questo nuovo ufficio centrale integrato carta+digitale, non sospende più il proprio lavoro, lavora 24 ore su 24. Avere cambiato anche gli spazi fisici, e abbiamo in corso lavori che finiranno dopo l’estate, gli orari, e aver spostato le persone penso che porti davvero a interrogarsi continuamente su come si possa fare diversamente il giornalismo».

Andiamo a cacciare le anatre, ha detto...

«È un detto americano: se sei un cacciatore di anatre devi andare dove sono le anatre. E allora vai e ti infili nella palude fino alla cintola se vuoi prendere le anatre, sennò lasci perdere e stai a casa. I lettori oggi sono fuori dai nostri contenitori come il giornale di carta, una parte è ancora dentro ed è la parte più tradizionale, una parte è fuori: devi andare a raggiungerla, non puoi pensare che venga da te. Ovviamente non si tratta di fare lo stesso prodotto su piattaforme diverse, ma di fare prodotti diversi a seconda delle piattaforme e partendo dal digitale, dai video, dal mobile, per poi fare un approfondimento per la carta, non il contrario».

Ammetterà che è un modello adatto ai grandi giornali che godono di ampie risorse redazionali e finanziarie...

«Mi viene da dire che io per contratto devo occuparmi di un gruppo così (ride, ndr). Però sì, un modello di questo genere è un po’ difficile da applicare ai giornali di media grandezza, è invece un modello che dovrebbe essere applicato ai locali, sebbene rivisto nei numeri e il resto: se fai la stessa operazione di presenza sul territorio con i live e i video su una realtà iperlocale puoi diventare il dominus della tua area e intercettare davvero non solo i lettori maturi ma anche i più giovani».

Il modello di business regge?

«Ci sono più fonti di pubblicità, le cose sono cambiate soprattutto negli ultimi 12 mesi. Prima il mio articolo che andava sul search di Google o su Google News o mi riportava i lettori sul sito oppure io ne avevo soltanto un ritorno di immagine. Oggi gli Instant Articles di Facebook o gli Amp di Google (le pagine con gli articoli ottimizzate e velocizzate per i cellulari e ospitate dal motore, ndr) consentono a chi ha prodotto il contenuto di avere i click e così la pubblicità. Ora è fondamentale capire quali e quanti dati sui lettori, gli small data non i big, ci permettono di avere Facebook o Google per poi poter fare anche pubblicità profilata».

La pubblicità online, però, paga meno rispetto a quella cartacea...

«Vero, l’abbiamo sempre detto, anche se la differenza fra la classica tabellare cartacea e la pubblicità digitale che un tempo era infinita oggi si è ridotta. La pubblicità online paga meno, però il numero di persone che raggiungi sta crescendo in maniera così importante che questo aiuta. Oggi la parte digitale nel budget pubblicitario di un giornale come Repubblica conta per più di un terzo».

Se però la raccolta online non va di pari passo col calo di quella cartacea, com’è per molti, forse si porrà un problema di strutture delle case editrici da adattare alla nuova realtà?

«Dipende come cresce il digitale in questi anni. Io non sono pessimista. Vedo che il digitale funziona, certo non ha più i tassi di crescita di prima, però si sta allargando. L’importante è che i giornalisti siano capaci di alimentare sempre più prodotti. Il nostro discorso perciò oggi è semplicemente di ripensare quello che facciamo: meno desk immensi che fanno la carta e maggiormente concentrati a fare più prodotti e quindi sviluppo».

Dati alla mano, ItaliaOggi ha mostrato come i siti di news online puri in Italia non abbiano mai funzionato economicamente. Al contrario la carta continua a reggere i conti della maggior parte dei giornali tradizionali.

«Diciamo così, che in Italia i brand di informazione tradizionali stanno mostrando di funzionare anche nel mondo digitale. E quindi lasciano meno spazio a iniziative nuove. E bisogna anche dire che le iniziative nuove che si vedono in America, che possono essere Buzzfeed, Vice, Politico, hanno avuto anche investimenti di capitali e un supporto tecnologico di cui in Italia non si è potuto godere. Secondo me le idee in Italia ci sono state, non hanno avuto quel supporto tecnologico necessario».

Cosa ha in mente ancora per Repubblica? Intanto il nuovo sito mobile e il suo responsabile, poi?

«Il sito mobile spero di rifarlo entro giugno, sul responsabile ancora non so. Per il resto direi che già in questi giorni le novità sono state tante».

Andrea Secchi

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