mercoledì 10 marzo 2010

Come andò che il piccolo Aurelio venne assunto dal grande Eugenio.

Quella che vi proponiamo di seguito, è una storia vera che ha per protagonista un giornalista di Repubblica che, passando dall'inferno di una clamorosa gaffe dovuta ad un refuso su un nome proprio, riuscì a superare la crisi, tanto da convincere Scalfari ad assumerlo a Repubblica. Sotto l'egida di Giorgio Dell'Arti. Questa storia è dedicata ad Angelo Aquaro, giornalista abbonato ai refusi sui nomi propri, e che nonostante tutto collabora regolarmente con Repubblica. Con questa lettera, salgono a tre i giornalisti di Repubblica che hanno voluto lasciare il loro segno su PPR. Già l'hanno fatto Luigi Bolognini e Omero Ciai (più volte).

Che cosa hanno in comune Masolino da Panicale, maestro di Masaccio vissuto a cavallo tra il XIV e il XV secolo, e Masolino D'Amico, anglista e critico teatrale della "Stampa" nostro contemporaneo? Assolutamente niente a parte il nome non comune. Eppure in una didascalia riuscii a scrivere Masolino D'Amico invece che Masolino da Panicale. Ecco come andò.
Avevo cominciato a fare il giornalista nel 1982, come collaboratore di un piccolo giornale della mia città, Asti, dove ero tornato dopo aver fatto il liceo a Firenze per iscrivermi all'università. Così, cominciata per c/c (caso e culo) la collaborazione a questo piccolo giornale, frequentavo intanto l'università a Torino. Giunto verso la laurea, cominciai a guardarmi intorno per decidere se davvero mi piaceva fare il giornalista o se invece avrei preferito cedere alle tentazioni della lessicografia.... i dubbi di gioventù sono davero bizzarri. Mentre riflettevo, venni chiamato a fare il militare. Erano altri tempi, ed era obbligatorio. Io, che avevo scelto il servizio civile, mi trovai dirottato di nuovo a Firenze, alla Pia Casa di Lavoro Montedomini, una delle case di riposo/ospizi più grandi d'Italia, dove invece dei 12 mesi di naja avrei dovuto "scontarne" 20 di servizio civile, tanto per dire quanto lo Stato apprezzasse la scelta di andare a essere davvero utili da qualche parte invece di imparare a sparare o, quando fossi divenuto un vecio, a maltrattare i bocia (infatti, se avessi fatto il militare, sarei finito tra gli alpini come mio padre: per un errore mi era già arrivata la chiamata al Car/Centro addestramento reclute di Bari).
A Firenze, lessi un giorno su Repubblica, il giornale che leggevo e in cui mi riconoscevo, che sarebbe presto nato un inserto librario, e che sarebbe stato affidato a Giorgio Dell'Arti. Interessatissimo (ero fresco di Laurea in Lettere a indirizzo filologico e sul giornale di Asti mi occupavo della pagina di Società, cultura e viaggi), mandai un mio curriculum a quel nome fino ad allora sconosciuto, Giorgio Dell'Arti. Con mia emozione e sorpresa, poco tempo dopo trovai in centralino (i cellulari erano poco più di un esperimento) una chiamata di Repubblica. Richiamai, e Dell'Arti mi spiegò che in realtà non gli sarebbe stato affidato l'inserto librario (che sarebbe nato di lì a poco con il nome di Mercurio, sotto la guida di Nello Ajello), bensì il nascituro magazine, che anche il Corriere della Sera aveva in gestazione. Se mi interessava, avrei dovuto presentarmi a Roma.
Evidentemente il mio curriculum non doveva essere proprio disprezzabile. Ma anche, e soprattutto, Giorgio Dell'Arti era una persona speciale sotto molti apetti, e i curricola li leggeva, e delle persone si incuriosiva e interessava, e pensava che i giovani qualche cosa di buono avrebbero potuto combinare.
Con la morte nel cuore gli spiegai che ero obiettore di coscienza e avrei avuto ancora qualche mese di servizio civile. Non potevo quindi presentarmi alla chiamata, alla quale, se lo Stato non mi avesse temporaneamente privato della libertà personale, avrei risposto andando a Roma anche sulle ginocchia.
Senza scomporsi Dell'Arti mi invitò a continuare a scrivergli, cosa che feci, e, nato il "Venerdì", mi fece debuttare da quelle pagine con un'intervista a Elvira Sellerio sul romanzo Retablo di Vincenzo Consolo.
Ammassate tutte le licenze in fondo ai mesi da scontare, riuscii a finire una ventina di giorni prima della data ufficiale.
Dell'Arti mi disse di nuovo di presentarmi a Roma. Dove arrivai in un lunedì di fine agosto 1988, quando la redazione del "Venerdì" riapriva i battenti dopo le vacanze.
Pensavo che avrei dovuto fare il ragazzo di bottega al "Venerdì". Invece Dell'Arti, riccioli bianchi e sorriso compiaciuto, mi spiegò che l'editore aveva in programma dei supplementi speciali sull'arte: cinque fascicoli di 64 pagine senza pubblicità dedicati a Giotto, Masaccio, Michelangelo, Raffaello, Caravaggio e ai pittori loro coevi.



Poichè il "Venerdì" era nato da poco, egli non poteva sottrargli molto tempo per occuparsi anche di questi supplementi, ma Scalfari ci teneva che li facesse lui. Quindi Dell'Arti mi chiedeva di occuparmi in toto di questi supplementi, ovviamente sotto la sua cura e supervisione: impostare i timoni, cercare le immagini delle opere e dei personaggi, aiutarlo a chiedere gli articoli e i saggi (gli autori erano un mix di giornalisti e professori di storia dell'arte) che avrebbero fatto da corona all'intervista di Stefano Malatesta al mai abbastanza rimpianto Giuliano Briganti, intervista che costituiva il filo conduttore di tutti e cinque i fascicoli, assistere i grafici nell'impaginazione, mandare tutto in tipografia, verificare le cianografiche eccetera eccetera.
Mi gettai a corpo morto nell'impresa e di lì a poco mi resi conto che di fatto ero davvero solo. Dell'Arti, quando poteva, sfogliava i menabò.



Interveniva soprattutto sui titoli e sui sommari ma, visto che gli impaginati procedevano, gli autori scrivevano e consegnavano nelle scadenze, la tipografia non aveva lagnanze particolari, poco per volta smise di preoccuparsi. Esaltato e orgoglioso dell'incarico, passavo anche sedici ore al giorno al lavoro in redazione. Il vero problema, come capii meglio in seguito, era che non c'era nessun tipo di controllo di secondo livello. E' regola buona e sacrosanta che ogni testo, titolo, sommario e tutti gli altri materiali destinati alla pubblicazione siano scritti o realizzati da una persona, ma sempre riletti, rivisti e controllati almeno da un'altra. Nel mio caso non era purtroppo così. L'unico controllo era quello di Dell'Arti, che si limitava alle cose principali. Così al secondo fascicolo, una sera, sul punto di stramazzare per la fatica, scrissi con la mia Lettera 22 una didascalia che si concludeva: ".... di Masaccio e Masolino D'Amico". Ora, era evidentissimo, anche solo per il fatto che me ne stavo occupando da mesi, che non si poteva pensare a un reale scambio di persona tra un pittore del XIV-XV secolo e un saggista vivente, ma quando ci si accorse dell'errore, a pochi giorni dall'uscita, non si poteva rimediare in alcun modo e la corbelleria restava nero su bianco, clamorosamente ridicola.
Passai alcune notti insonni. Proposi perfino di cancellare con il pennarello nero, una per una, le 1.200.000 copie della tiratura (eh sì, all'epoca i fascicoli culturali avevano questa tiratura), proposta dinanzi alla quale Dell'Arti, benchè contrariato dell'errore, si mise a ridere.
Quello che mi tormentava di più, oltre all'errore in sé, era il fatto che in sei anni di attività in un piccolo giornale non avevo mai scritto una sciocchezza di quelle dimensioni, né mai preso smentite. Arrivato a Repubblica incappavo in una scemenza sesquipedale, per di più su dei fascicoli destinati a essere conservati (era previsto anche un raccoglitore cartonato).
Dopo due giorni Dell'Arti mi disse che Scalfari aveva preteso di conoscere il nome del redattore responsabile, e lui aveva dovuto spiegarli che ero io, un debuttante allo sbaraglio senza nemmeno un contratto.
A quel punto pensavo di poter cominciare a fare le valigie per tornare a casa. Intanto mi dedicavo con il doppio della dedizione, e finalmente con una persona che mi rileggeva, all'uscita degli altri fascicoli. Che andarono benissimo. Sicchè dopo qualche settimana (nel frattempo ero dimagrito di quattro chili), Dell'Arti mi disse che i fascicoli erano andati in maniera straordinaria malgrado la mia fesseria, Repubblica aveva guadagnato soldi e prestigio (nell'ordine) e quindi Scalfari, avvistato il bicentenario della Rivoluzione francese, aveva deciso di realizzare sette fascicoli con la stessa formula di quelli della pittura. Confermata la formula, e confermato il giovane e sventato redattore, cioè io. Che ebbi l'onore e il piacere di chiedere articoli, fra gli altri, ai più grandi esperti del tema, come Furet, Vovelle, Corbin, Mona Ozuf e perfino ad alcuni dei miei maggiori, per esempio Eugenio Garin. Il quale, consegnato il pezzo, mi telefonò per chiedermi - a me, neolaureato fresco di università e redattore capace di qualsiasi nefandezza - se andava bene. Non potè vedere la mia genuflessione dinanzi al suo garbo squisito.
Ai primi giorni di gennaio 1989 Dell'Arti mi disse che Scalfari voleva vedermi per assumermi. Pensai a una beffa ordita per punirmi ma andai in piazza Indipendenza (la redazione del Venerdì e dei supplementi erano in un edificio nei dintorni, in un'altra via dal nome risorgimentale) come mi era stato detto. Venni fatto entrare nella grande e disadorna stanza direttoriale. Scalfari mi fece sedere. La prima cosa che mi chiese fu: "Ma allora, come è che venuto fuori quel Masolino D'Amico"?. Sarei scomparso volentieri. Balbettati qualche scusa che Scalfari nemmeno stette a sentire.



Mi comunicò invece che sarei stato assunto. Io, sfacciato, chiesi: "Quando?". Scalfari armeggiò con l'interfono e chiamò: "Andrea!", che era Andrea Piana, il direttore amministrativo, "ti mando un giovane da assumere, si chiama Aurelio Magistà, non dargli troppi soldi. Fai partire l'assunzione da febbraio".
E fu così che, senza conoscere nessuno a Repubblica, senza nessuna raccomandazione, senza che nessuno mai mi abbia chiesto le mie idee politiche, le mie abitudini sessuali, la mia religione (in realtà il sabato non lavoro proprio per motivi religiosi, come avevo detto a Dell'Arti prima di rispondere alla sua chiamata), e perfino perdonato per una didascalia che ogni tanto cito ai giovani come esempio del fatto che tutti facciamo le nostre scemenze, e la mia fu più ridicola di molte altre, venni assunto nel giornale di cui fino all'anno prima ero solo uno delle centinaia di migliaia di lettori.
Da allora, ho potuto verificare che quando sono stanco la prima cosa che sbaglio, parlando o scrivendo, sono proprio i nomi. Ciascuno ha i suoi lapsus.

Aurelio Magistà

44 commenti:

aghost ha detto...

mi commplimento con Magistà per il sapido racconto :)

E soprattutto per aver donato al blog questo piccolo pezzo di autobiografia :)

IL DITO NELLA PIAGA ha detto...

COMANDAMENTI

Undicesimo: lo fanno tutti, quindi lo facciamo anche noi.

Fabio V. ha detto...

Fantastico! Non ho parole.

Anzi sì, è lo spaccato di un Italia che, ahimè, non c'è più, o c'è solo in parte.

Grazie Magistà per aver condiviso con noi parte della sella sua storia personale.

Gemina ha detto...

Davvero simpatico averci raccontato questo pezzo di vita. Grazie. Vorrei chiedere al gentile Magistà se conosce qualcuno che oggi a Repubblica apre ancora i curricula che arrivano. E sopratutto se c'è ancora qualcuno che usa quei curricula per selezionare qualche collaboratore. E come fanno i giovani a cominciare. Quali percorsi ci sono per l'allevamento dei pulcini, diciamo così. Io ho l'impressione che ci sia solo lo stage, per ottenere il quale è necessario passare dalle costose scuole di giornalismo. Per non dire poi di quello che è concesso fare, una volta in stage. E chi non ce l'ha i diecimila euro per la scuola? E chi ha bisogno di lavorare e non può spendere altri due anni a fare teoria e basta, con persone che di solito giornalisti non lo sono mai stati e mai lo saranno?
Se c'è questo canale, il gentile Magistà ci avverte, a noi sfigati nati dopo - o alla fine - degli anni Settanta? Grazie di cuore

Barbapapà ha detto...

Bellissimo racconto, complimenti e grazie a Magistà per averlo condiviso con noi.

Però concordo con Gemina: sarebbe interessante capire come avviene oggi la selezione dei giovani aspiranti giornalisti a Repubblica.
Ho sempre la sgradevole sensazione che le "referenze" siano sempre la migliore chiave per accedere al giornalismo in Italia.

Anonimo ha detto...

INCENTIVI ALL'ESODO:
Accordo del 4 marzo
L'ESPRESSO – Repubblica per i
prepensionamenti.
1. “A tutti i giornalisti che durante il periodo di riorganizzazione in presenza di crisi accederanno al prepensionamento, la cui retribuzione annua lorda 2009 (come da CUD) sia stata inferiore a € 100.000 e la cui pensione annua lorda al momento dell’uscita sia inferiore a € 67.000, sarà erogato un importo lordo, sotto forma di integrazione del trattamento di fine rapporto – incentivo all’esodo, calcolato nel modo seguente: differenza fra la pensione annua lorda realmente percepita al momento dell’uscita e una pensione annua lorda teorica di € 67.000 (quest’ultima equivalente ad un netto indicativo mensile di € 3.250 x 14 mensilità) moltiplicata per il numero di anni mancati al raggiungimento del 65° anno di età”.
2. “A tutti i giornalisti che durante il periodo di riorganizzazione in presenza di crisi accederanno al prepensionamento, la cui retribuzione annua lorda 2009 (come da CUD) sia stata superiore a € 100.000 e la cui pensione annua lorda al momento dell’uscita sia inferiore a € 75.000, sarà erogato un importo lordo, sotto forma di integrazione del trattamento di fine rapporto – incentivo all’esodo, calcolato nel modo seguente: differenza fra la pensione annua lorda realmente percepita al momento dell’uscita e una pensione annua lorda teorica di € 75.000 (quest’ultima equivalente ad un netto indicativo mensile di € 3.600 x 14 mensilità) moltiplicata per il numero di anni mancati al raggiungimento del 65° anno di età”.

esaù ha detto...

Gemina, Barbapapà: è vero, la storia di Aurelio oggi in un grande quotidiano è difficilmente replicabile, vista la crisi della carta stampata.

Ma è anche vera un'altra cosa, lo dico sempre.
Chiedersi se c'è ancora qualcuno che legge i curricula ha senso fino a un certo punto.

E pure uscire dall'università, magari a 25 anni, dicendo: "Bene, oggi voglio fare il giornalista" ha senso fino a un certo punto.

Se uno vuole fare il giornalista inizia presto, in una radio, in un giornaletto.

E poi oggi, visto che mandare un curriculum a un giornale serve a poco (e un curriculum di uno sconosciuto onestamente dice poco sulle qualità di un giornalista), ci sarebbe un altro modo per emergere: mandare notizie, idee. Cosa che non fa nessuno (o quasi), neppure i collaboratori fissi.

Uno pensa sempre al curriculum, ma il giornalismo è fatto di notizie: tu, giovane aspirante giornalista, mettiti di buzzo buono e cerca una buona storia, creati qualche contatto, passa una settimana a roma e vai in tutte le feste come free lance e agganciati qualche volto noto che possa darti una notizia o un'idea: se vuoi fare questo mestiere un po' di intuito e intraprenenza devi averli.

E vediamo, poi, dopo cento idee che avrai mandato se qualcuno non ti risponde. E se non ti risponde, allora sì potrai lamentarti davvero. E a ragione. Ma qualcuno ha provato? Ne conosco che hanno provato e, anche in tempi recenti, sono diventati collaboratori fissi e qualcuno è pure stato assunto.

Ma nessuno lo fa. Tutti vogliono diventare giornalisti, nessuno cerca le notizie o almeno le storie.

Al giorno d'oggi abbiamo una fortuna: conosciamo le mail di tutti i giornalisti, i direttori: aspirante giornalista, manda cinque idee a settimana.

Nei giornali c'è fame di idee, non di curricula.

Anonimo ha detto...

Bravissimo Esaù- I curricula servono a poco e anche le "referenze" cui allude Barbapapà servono a niente. Piantiamola con queste maliziose insinuazioni, sono luoghi comuni penosi. I raccomandati esistono anche nel giornalismo e magari si prendono pure uno stipendio senza meritarlo. Ma quando serve uno bravo si cerca uno bravo. E contano appunto le idee, le proposte. A tutti quelli che mi inviano il curriculum io rispondo sempre chiedendogli di darmi una dritta per un servizio per una inchiesta. E ci sono tanti che lo fanno

Occam ha detto...

quoto esaù.
di magistà consiglio un bellissimo libro sulla storia dei giornali "L'Italia in prima pagina" (B. Mondadori 2006). complimenti per la lettera e per i meravigliosi inserti che fa, grafica da 10 e lode

PS: dal sondaggio ppr+ manca ALMENO un francesco merlo!!!

PS2 / E io pago: Marrese inviato a Lecce! grande, come quando lo sentiamo su radio capital

Barbapapà ha detto...

Anonimo, dire che il giornalismo non è immune dalle ”referenze” è un dato di fatto, non un "luogo comune penoso". E' sufficiente leggere i cognomi dei giornalisti per capire che spesso sono i legami a spiegare certe assunzioni (il che non significa affermare che queste persone non abbiano talento). Vale per la carta stampata, vale per il giornalismo radiotelevisivo, vale per tantissime professioni in un paese, il nostro, che fa dello spirito corporativo (o familistico, per riprendere la bella intervista di Simonetta Fiori a Paul Ginsborg di lunedì) il vero collante nazionale.
Ciò premesso, non volevo certo affermare che chi accede al giornalismo oggi riesca a farlo soltanto per le "referenze", ma solo che probabilmente aiutano molto (ho scritto che sono la migliore chiave, non l'unica).

Per il resto, se come dice Esaù, e come confermi tu, la possibilità di diventare giornalisti risiede principalmente nella voglia di far testardamente leva sulle proprie capacità di trovare notizie o avere idee, io non posso che esserne lieto. Torniamo però al discorso che facevo nel post sulla gerontocrazia, ovvero sul "sacro fuoco" che deve animare chi vuole intraprendere questa professione e che è in grado di superare qualsiasi ostacolo che certe "vischiosità" del settore editoriale pongono sul cammino dei volenterosi. Ma io continuo a pensare che per molti il giornalismo sia diventato un mestiere come un altro.
Voi sembrate quindi ottimisti, in quanto ritenete assolutamente possibile un accesso alla professione senza “aiuti” o investimenti economici personali (vedi intervento di Gemina). Per contro questo vostro ottimismo mi pare temperato da un certo scetticismo perché nella vostra esperienza non sembrano emergere con continuità personalità giornalistiche in grado di attrarre la vostra attenzione. Speranza e sconforto, per parafrasare un noto libro di Tremonti…

L'importante è che i talenti non vengano ignorati. E su questo siete ambedue concordi nell'escludere questo rischio. Ed è già una buona notizia. Anche se l'accesso alla professione mi pare molto "artigianale". O forse è naturale che sia così?

Barbapapà ha detto...

Occam! Quale articolo di Merlo è stato dimenticato?

Anonimo ha detto...

grande Magistà!

IMPORTANTE PER PPR: caro PPR volevo farti presente la nullità intellettuale e giornalistica dell'articolo scritto dalla Palombella (sì, colei che selvaggiamente criticava Mauro e El Fundador in finta diretta con Sgarbi), sul Foglio, ripreso da Dagospia: raramente ho avuto una visione più perfetta del vuoto assoluto: http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/articolo-13820.htm

Luca73

Gemina ha detto...

Esaù, l'anomimo e gli altri

beh, io ho anche provato a mandare proposte. Le mie mail devono essere state cestinate, a giudicare dal risultato.

Posso segnalare almeno altre tre persone conosciute di recente che, avvilitissime, mi hanno raccontato degli stessi penosi tentativi andati a vuoto. Tutti sotto o sui trent'anni, con varie cosette alle spalle. Soprattutto vari stage, ma non solo.

E sono convinta che non siamo da buttare, anche se evidentemente abbiamo molto da imparare. E lo sappiamo.

Nessuno si pone il problema di quanto sia difficile imparare a casa da soli, collaborando in esterno. Avete pensato mai a quanto accidenti è difficile non avere mai nessuno a cui fare una domanda, chiedere una dritta ecc? E quanta soggezione può esserci in un aventuale rapporto solo telefonico?

E perché non diciamo delle codizioni in cui, eventualmente, si collabora? Nessuno contratta il prezzo, e forse sapete che un anno fa la retribuzione dei collaboratori è stata troncata del 20 per cento in maniera completamente unilaterale, un po' dappertutto. Avete presente che i cdr se ne infischiano totalmente di una fetta consistente di persone, i collaboratori appunto? Senza contare che le collaborazioni stesse sono state tagliate, e se siete dentro un certo ambiente lo sapete benissimo.

E avete presente cosa vuol dire per uno che deve pagare l'affitto stare lì a cercare proposte, cercare, inviare, cercare cercare, scriverle accattivanti, aggiustarle, inviare, cercare e inviare, cercare e inviare...e non avere mai l'ok per niente? O magari trovare l'argomento fatto da uno interno (che accidenti quanta roba in più hanno gli interni, rispetto agli sfigati a casa...)?

E anche se qualche pezzo lo si riesce a piazzare, per quanto tempo si dobrebbe andare avanti così? E quanto pensate che si riesca a guadagnare in questo modo? Non so gli altri, ma io non ci esco, pur facendo una vita modesta.

Perché non vi rendete conto che così solo i ricchi di famiglia possono lavorare sotto-sotto pagati, senza assunzione per decenni e forse per sempre? Che solo chi non ha bisogno di uno stipendio può stare lì con le cento proposte di cui una finisce per diventare un articolo?

Avete mai pensato a cosa succede quando un pezzo viene commissionato e poi per qualsiasi motivo non esce? Semplicemente non succede un bel niente. Nessun rimborso, niente di niente. Tanto il cdr fa finta che i collaboratori esterni non esistano.

Ricorderei, inoltre, che le cento idee che esaù incoraggia a inviare sono completamete a gratise, come si dice a Roma. Perché almeno non riconoscete che questa è una grossa difficoltà?

Allora uno dice che vuoi, c'è la crisi, siete arrivati che la festa era già finita. Salvo poi leggere costosissimi collaboratori che fanno tutto, tranne che trovare storie, scovare roba nuova, fare informazione. Opinioni su tutto, anche sulle più insulse banalità di cui non c'è proprio niente da opinare.

Allora non ci sono i soldi per che cosa?

Vedo che un anonimo incoraggia gli aspiranti giornalisti a inviargli proposte. Ti rendi conto che non è una pratica molto diffusa, vero? E uno dall'esterno come dovrebbe fare a inviare all'indirizzo giusto? Mandare a tutti le stesse porposte, indipendentemente dal settore? E quanto tempo ci vorrebbe a incontrare uno disponibile?

E poi, Esaù, ma di quali feste parli? Forse non ti rendi conto che il mondo cui ti riferisci, tutto sommato, è parecchio esclusivista.

Per gente che viene dalla provincia e da famiglie modeste certi giri e certe feste sono ignoti, te lo assicuro.

E chi nega che quasi tutto il giornalismo funziona per cooptazione lo considero un ipocrita. O al massimo, se davvero in buona fede, è un illuso staccato dalla realtà, che per un giornalista mi pare sia grave lo stesso.

Gemina ha detto...

Non so, a me questa retorica del "sacro fuoco" del giornalismo sembra falsa e paracula, scusate il termine. Insomma, il modo per ripulirsi la coscienza dicendosi che tanto quelli bravi ce la fanno. No, invece, potrebbero pure non farcela, viste le condizioni.

esaù ha detto...

Caro Barbapapà, io sento da ogni dove giovani che, con la laurea in mano, si mettono improvvisamente in testa di fare i giornalisti avendo tra l'altro una visione distorta della professione: mi piace scrivere, dunque voglio fare il giornalista. No, allora prova a fare lo scrittore. Il giornalista cerca notizie, e questo non te lo insegna nessuno. In questo senso, non è un mestiere come un altro.

Perché il giornalista, quello di razza, oltre ad avere il fiuto deve pure essere abbastanza paravento da portarsela a casa, la notizia o l'intervista. E certe doti non si imparano.

Poi, c'è ovviamente un altro versante della professione, più impiegatizio e paradossalmente meno accessibile perché è difficile dimostrare di saperci fare: quello degli onesti mestieranti, titolisti o deskisti, che stanno bene come stanno: vai a chiedere a tanti di loro di cercare o una notizia o di scrivere un'intervista... si nascondono sotto il tavolo!

Per concludere: non credo proprio che esistano o siano mai esistiti nuovi Montanelli incompresi finiti a fare gli impiegati del catasto.

Ci sono invece troppi che vorrebbero fare questo mestiere senza mai sforzarsi di avere un'idea o una notizia, ma con il piatto pronto.

Fatela una prova: invece di aggiornare i curricula ora dopo ora, inviate idee a profusione, anche cose semplice, e qualche riscontro lo avrete.

Gemina ha detto...

ecco, appunto: mandate e campate di aria fresca.

Anonimo ha detto...

GEMINA, ti capisco però prova pure tu a capire me: non è che lo scrivere su REPUBBLICA sia un diritto costituzionalmente garantito a tutti.

Insomma: gli aspiranti giornalisti non hanno, solo per il fatto di essere aspiranti giornalisti (certo, sempre meglio che essere aspiranti serial killer, ma a tutt'oggi risultano un pochino più utili alla società gli aspiranti ingegneri e gli aspiranti chirurghi), ipso facto diritto ad essere allevati dal migliore giornale italiano. Sei un aspirante giornalista? Beh, fatti le ossa sulla Gazzetta di Spilimbergo, sulla Voce di Castelfranco Veneto, sul Riformista, sul Foglio, su AffariItaliani o dove altro credi, e poi presentati a Repubblica quando non sei più un "aspirante coso" ma sei un "coso coi controcoglioni". Perché solo allora sarai degno del mio euro mattutino per REPUBBLICA.

Anonimo ha detto...

Cara Gemina,
anch'io conosco molti ragazzi che hanno fatto i tentativi che dici tu, ma la verità è che alla Repubblica c'è una lunga casta di persone che hanno il diritto a scrivere. Dagli inviati storici (e ci mancherebbe) ai deskisti di pietra.
I collaboratori sono trattati economicamnte molto male, ma questo non si può dire visto che è il "miglior giornale italiano" (sicuri?). E caro Anonimo ci sono molti pezzi su Repubblica che non valgono il mio di euro quotidiano e che in quanto a controcoglioni fanno ridere i polli, quindi non conviene metterla su questo piano. Però non facciamo gli ipocriti dicendo che è un libero mercato e che chi ha l'idea migliore vince perché è un falso enorme...grazie
Riccardo R

Gemina ha detto...

E comunque, anche a mandare: spesso non risponde nessuno. Anche quando magari qualche pezzo l'hai già piazzato e ti conoscono almeno un pochino.

Spesso non ti rispondono nemmeno per buona creanza "niente, questa volta non ci hai preso; grazie e arrivederci". E questo lo posso dimostrare.

Fai tu la prova, esaù: vedrai che moltissimi non ti risponderanno.

E quanto dovrebbe resistere uno così? Secondo me dipende da quanto può permetterselo, di lavorare a certe condizioni.

E anche da quel che gli dice la coscienza. C'è una certa dignità nell'essere autosufficienti, chi lavora lo sa. E chi non lavora lo sa ancor di più, anche se al rovescio.

Per l'ultimo anonimo: ok, questo lo capisco e mi sta bene. Sempre considerando però che di camparci, con le pubblicazioni locali, è quasi impossibile.

Ma ora mi volete dire che nessun giovane per principio è ammesso in un quotidiano nazionale? Non ci credo.

ps. vedo che si passa da uno che sbandiera il fuoco sacro del giornalismo a un altro che non degna nemmeno un pochino inclinazioni e aspirazioni personali. Ecco, forse la realtà è più sfumata. è vero che servono più ingengneri, però fa un certo effetto sentirselo dire da chi è arrivato, come spesso capita (e non si sa se sia anche il caso dell'anomimo).

esaù ha detto...

@ Gemina. Io non conosco la tua storia, non so quanti anni tu abbia. Ma pensare di cominciare a fare i giornalisti riuscendo pure, fin da subito, a guadagnare bene, permettimi, è una follia.

Ciò non significa che sia un mestiere per ricchi. Significa che chi parte senza Santi in paradiso, come tantissimi, non può sperare di guadagnare subito, e se dopo mesi o anni non guadagna, forse deve cambiare mestiere.


No, non è una professione come le altre. Così come, che so, un ballerino deve iniziare giovane, così un giornalista deve farsi le ossa magari mentre ancora frequenta le superiori, nelle radio e nei giornali locali. In tal modo può anche capire se questo mestiere fa per lui e può guadagnarci.

Svegliarsi a venticinque/trent'anni e dire "voglio fare il giornalista" porta a quello che dici tu: lavorare aggratise a lungo.

Perche' non hai contatti giusti per cercare notizie e per essere "attendibile" di fronte a un caporedattore, perche' non hai alle spalle un'esperienza, perche' non sai minimamente come muoverti e magari neanche ti rendi conto che cosa sia veramente una notizia.


Prendi uno che sogna la giudiziaria: io me la immagino fin dai 18-19 anni nel tribunale della sua cittadina a farsi le ossa. Non è che la fonte viene a bussarti a casa.

Quanto alle feste, credimi, sono molto meno elitarie di quanto pensi. E comunque esistono mille altri modi per allacciare contatti: conferenze stampa (spesso aperte a tutti), convegni, presentazioni di libri. Anche andare come pubblico in una trasmissione può servire!

Se poi proprio non riesci a entrarci o a farti qualche contatto, forse non è il mestiere per te.

Infine, rispondo su altri due punti tuoi. Se su cento proposte solo una diventa un articolo, il problema evidentemente e' delle proposte, scusami. E se non sai a chi mandarle o che cosa, il problema è tuo. Magari specializzati, individua due o tre giornali, cerca le mail dei capi e buttati.

Anonimo ha detto...

Ragazzi, però non è giusto. Perché non mi fanno giocare in prima squadra nell'Inter? Voglio dire, vado allo stadio tutte le domeniche, faccio il tifo, me la cavo benino giocando nel campetto sotto casa... e poi? Niente Inter? Uffa, ma allora è una cricca! E' un complotto pluto-demo-massonico! E' NEPOTISMO!!!

Anonimo ha detto...

Tipico commento snob di uno di Repubblica: io sono io e voi non siete un cazzo, ecco perché io gioco in campo e voi siete destinati alla tribuna. Roba da Libero o Giornale insomma. Anonimo, ricordati però che ci sono molti giornalisti mediocri e sciatti tra le firme che leggiamo ogni giorno su Repubblica, non è che siate proprio tutti Montanelli, anzi...

esaù ha detto...

@ anonimo2. Scusa, non per difendere Anonimo1, ma è chiaro che, come in tutti i campi ci sono tanti, tantissimi mediocri e raccomandati, questo è ovvio, banale, ed è inutile ribadirlo.

E' anche vero, però, che chi sta fuori, soprattutto nel giornalismo, spesso tende alla geremiade e alla sindrome dell'incompreso: quando poi però vai a scavare e chiedi notizie o idee a costoro, spesso non ci sono risposte soddisfacenti.

Credimi, sono centinaia i giovani - tra quelli senza santi in paradiso chiaro - che vorrebbero il piatto pronto, la notizia solo da scrivere: e non per colpa loro, ma semplicemente perche' non sanno bene che cosa sia il mestiere del giornalista.

Anonimo ha detto...

Hai ragione Esaù, scusa il tono, ma l'arroganza mi da sempre fastidio perché so che ci sono anche molti ragazzi in gamba che stanno fuori e che hanno due palle così, solo che a chi sta dentro non importa. Ma va bene lo stesso, tanto poi precari e prepensionati si incontreranno felici ai giardinetti della Garbatella e parleranno di quanto è bello fare i giornali.
Anonimo 2

esaù ha detto...

@ Anonimo2: permettimi, sarò stucchevole, ma non mi stancherò mai di ribadire che nel giornalismo le cose vanno un po' diversamente che in altre professioni: essere "in gamba" significa avere un certo carattere "da giornalista", talento, capacità di trovare notizie e pure affabilità tale da sapere farsi ascoltare. E se c'è davvero da ascoltare, credimi, prima o poi uno che dà retta si trova.

Mi chiedo sempre: quanti scoop di giovani in gamba sono rimasti chiusi in un cassetto perche' nessuno li ha presi?

Gemina ha detto...

Ecco, era l'argomento che mi aspettavo: la colpa è delle proposte, sottinteso: che non sono buone. Però spesso le fanno lo stesso, a volte le fa qualche altro collaboratore (e agli esterni non è dato sapere in base a cosa si sceglie in questi casi), più di frequente da qualcuno interno. Evidentemente tanto scarse non erano, se poi comunque si fanno.

E ti sembra normale che quando non vanno bene, nessuno ti risponde "no grazie"? Otto lettere da digitare, no grazie, costa così tanto?

Voi la fate bella, con la storia del collaborare quando si studia.

Io per laurearmi ho dovuto fare la cassiera part time - cosa che mi capita ancora di fare - perché i miei non avevano soldi a sufficienza per mantenermi all'università.

Ora scopro che avrei dovuto collaborare già prima di laurearmi. Vorrei vedere quelli già assunti, a cominciare a queste condizioni.

Sul serio, credo che comunque sarebbe un buon esercizio: i giornalisti provino a immaginare se ce l'avrebbero fatta alle condizioni di oggi. Provino a immaginare loro stessi a stare al gioco di oggi.

Credo sia ridicolo pensare che il buon giornalista è solo quello che riesce a entrare nel circolo, frequentare certe feste e conoscere certa gente. E che è, un pr da discoteca? Oppure uno che crede nell'importanza di allargare quanto più possibile consapevolezza e partecipazione?

Ma almeno hai ammesso che di cooptazione si tratta. Conoscere le persone giuste e basta.

E non ti fa nessuna specie, ti sembra normale. Invece che valutare altre cose, che so, persino l'attitudine deontologica a fare questo mestiere, ché a farlo male produce disinformazione, lo sai meglio di me, qualcosa di molto peggio della non informazione.

Però bisogna conoscere le persone giuste e cominciare quando ancora non si capisce niente, del mondo e della vita, anche della propria. Col biberon in mano cominciare a lavorare a gratise. Vorrei vedere quelli della vecchia guarda così! E dello spostamento in avanti di tutte le tappe di vita? Quello che dici non è in contrapposizione con la realtà stessa? Mah.

E allora gli stage? Come mai a lavorare a gratis invece ti prendono un po' tutti?

Occam ha detto...

@ Barba
Mi riferivo al Merlo in versione sanremese (pezzo dalla prima e girata nella seconda di commenti, in alto a destra) con grande passaggio sulla Clerici: più che normale, normalizzata. nei giorni della "kermesse" ma non ricordo quale
****
Mi astraggo dal(l'appassionante) dibattito in corso, ma auto-cito il mio post precedente: prima di sognare di scriverci, i giornali bisogna leggerli e conoscerli. quel libro di magistà, e altri di murialdi e non solo le raccolte di articoli di firme storiche, sono condicio sine qua non per fare la professione. vedo che per molti giovanissimi, usciti dalle scuole e non, il giornalismo è solo tv. già sognare di approdare a repubblica è qualcosa, vuol dire che la si legge!!!

Gemina ha detto...

Scusa, esaù, ma a me il mestiere che dici tu pare quello del pr da discoteca, davvero.

@anonimo 1: si è già detto che il curriculum non conta. A patto di saperci fare coi rapporti pubblici, anche uno che va solo allo stadio può pretendere di giocare nell'Inter, per citare la tua metafora. Almeno stando ai mirabili consigli di chi questo mondo lo fa così com'è.

esaù ha detto...

@ Gemina.
Avere contatti, conoscere le persone giuste, che possa piacere o no, fa parte del mestiere del giornaliste.

Ti sembra di fare la pr da discoteca? Mettila cosi', se vuoi, ma non sei lontanissima dalla realtà.

Starsene a casa serve a poco.

Girare, parlare con la gente, fare buone amicizie è un aspetto importantissimo, se non fondamentale della professione: serve ad avere notizie, a crearsi le fonti, anche a imparare a parlare con la gente, a capire i non detti, a cogliere i dettagli. Tutta roba che tornerà utile.

Mi spiace che nella tua esperienza tu abbia incontrato persone che ti hanno "scippato" le notizie: non è sempre cosi'.

Ma lascia pensare che, pur essendo un pochino conosciuta, non ti rispondano neanche.

Infine, ribadisco, è bene cominciare da giovanissimi. Se poi uno non può, per vari motivi, dopo parte svantaggiato, con meno esperienza. Questa è una realtà.

D'altronde, duole pure dirlo, ma non c'è scritto da nessuna parte che uno debba per forza riuscire nel giornalismo, che non è mestiere come tutti gli altri, purtroppo.

Anonimo ha detto...

Cara Gemina
quoto interamente tutto quanto hai detto ma non prendertela, per esperienza anche mia le idee si scippano spesso ai collaboratori e la risposta alla mail dei collaboratori non esiste, cosa tipica di Repubblica dove chi lavora dall'esterno lo fa praticamente a cottimo e sotto pagato, ma questo non si può dire perché è "il miglior giornale d'Italia" e chi ci lavora ha i "controcoglioni"...
Ti consiglio di cambiare quotidiano, come ho fatto io, è un po' meglio: almeno rispondono alle mail.
Anonimo 2

Barbapapà ha detto...

Da esterno al mondo del giornalismo e leggendo i vari interessanti commenti, credo che uno dei problemi sia legato, come rileva Esaù, a una diffusa, modesta conoscenza del mestiere del giornalista e delle doti richieste. Avvalorata, a parer mio, dai continui esempi di assoluta mediocrità che circolano su carta e in tv che possono, in assoluta buona fede, alimentare l'idea che “se certi figuri portano l'etichetta di giornalista, perché allora io che so scrivere non posso?”.
Altro problema, l'opacità dei metodi di selezione - il CV non serve o non basta - rafforza l'idea che si entri solo per conoscenze o perché ci si imbatte casualmente in un illuminato che sa scorgere il talento in un giovane fresco di studi e basta. Il silenzio che avvolge le domande di collaborazione inviate a giornali/giornalisti (peraltro non dissimile da quanto avviene nel resto del mondo del lavoro ove è un miracolo se qualche ufficio di HR, come si amano chiamare oggi, ti risponde con garbo che non c'è posto per te) non agevola gli aspiranti giornalisti a capire perché (lasciando stare la crisi economica etc) si è ignorati. Sarebbe molto più utile e formativo rispondere, con il dovuto tatto va da sé, “caro giovane non hai talento o i requisiti necessari”. E tra questi requisiti io metterei anche la conoscenza della storia del giornalismo, come osserva Occam (a proposito, spiacente per Merlo. Colpa mia, anche se non mi sembrava un commento strabiliante).

Esaù e Anonimo (ma non ti puoi dare un soprannome per agevolare la tua identificazione?), sono convinto che voi siate animati da buone intenzioni, ma ho l'impressione che siate una specie rara. E lo dico pur condividendo l'opinione di Esaù che i talenti tendono mediamente a emergere, magari con fatica ma emergono. Mentre invece è possibile che molti potenziali onesti mestieranti (nel senso nobile del termine) non trovino effettivamente spazio perché non riescono ad avere una opportunità.

aghost ha detto...

forse bisognerebbe uscire dal mito "il giornalismo non è un lavoro come un altro", ma che vuol dire? Neppure il chirurgo, il postino o il piastrellista sono lavori come gli altri... Ciascun lavoro richiede doti, capacità è attitudini particolari. E quanti di coloro che fanno i giornalisti lo fanno perché invece è un lavoro come un altro?
Mica sono tutti Montanelli o Bocca.

Per fare il giornalista, come fare tanti altri mestieri privilegiati in italia, non conta chi sei ma sopratutto chi conosci. Molti giornalisti di una certa età hanno iniziato molti anni fa per caso, non c'èra nessun sacro fuoco.

La verità è che in Italia, oggi, è tutto enormemente più difficile rispetto a qualche genenrazione fa.

Gemina ha detto...

Dunque, riassumendo, bisogna avere la possibilità economica (per lavorare a lungo gratis o quasi) e le amicizie giuste. Per le motivazioni che esaù ci scrive.

Più o meno lo sapevamo, in effetti. In italiano si chiamerebbero cooptazione e classismo. In altri tempi, certo.

esaù, ti riconosco l'onore dell'onestà. Però il tuo sembra il cinismo spietato tipico del berlusconismo.

E i timidi allora? Dai, non mi dire che non conosci nemmeno un giornalista timido che non ci credo.

Senti, di grazia, mi spieghi cosa lascia pensare il fatto che non rispondono anche se sanno chi sono? E come mai a volte rispondo e a volte no? Uno che non risponde a chi è più "in basso" è innanzi tutto un maleducato.

E perché non si dovrebbe usare una cortesia minima con una persona che si è impegnata senza lucro (le proposte non le paga nessuno, ovviamente)? Anche per dire di no, lo ripeto.

Mi è persino capitato di vedere cose che avevo proposto fatte tal quale a distanza di qualche tempo, addirittura dalle persone a cui le avevo proposte. Questo soprattutto dopo i tagli dei collaboratori: ti dice nulla questa coincindenza? E tu come ci saresti rimasto?

In pratica, lasci intendere che sono io a non essere all'altezza. Ci ho pensato bene: ho l'umiltà sufficiente almeno per metterla in questi termini. Ma credo di essere abbastanza obiettiva se sento di non essere da meno rispetto a tonnellate di persone che questo mestiere lo fanno. In molti casi non mi sembrano chissà che tempra di persone. Solo, non si sentono ridicoli a far finta di essere interessati a sentire come sta la persona giusta, invece di chiedere direttamente di questioni di lavoro.

E tanto che ci siamo, mi spieghi come si fa a coltivare rapporti di convenienza con le persone giuste senza essere ruffiani? Senza cadere nello squallore di camuffare un rapporto di interesse - o comunque di lavoro - con uno di amicizia, magari salottiera o festaiola (visto che citi le feste).

Altrove, in altri settori, risolvono con dei contratti di lavoro, sentito mai? Dopo che gli iperprotetti superpagati della vecchia guardia ci hanno rovinato, a noi giovani si chiede pure di saperci fare coi capi. Ma va? Non ce ne eravamo accorti.

E a te, sulla tua comoda poltrona, non ti spaventa il fatto che costiamo così poco, anzi, così spaventosamente tanto di meno rispetto a te? O che lavoriamo a delle condizioni che tu cerchi di far passare per normali, ma che la maggior parte degli assunti di oggi non avrebbe mai accettato prima?

Comunque un po' di gente la conosco, in efetti, e la maggior parte in realtà non è in condizione di far lavorare nessuno, nemmeno quelli bravi: i giornali sono molto gerarchici, e anche questo lo sai. Non basta certo conoscere qualcuno così in generale.

Ridurre tutto solo ai rapporti con chi è già dentro e ha del potere la dice lunga sul mestiere di giornalista, oggi, in Italia.

Anonimo ha detto...

Ma se tipo, e dico tipo, alzaste le chiappe dalle sedie e andaste a cercare di diventare giornalisti veramente? Mi sembra che stare semplicemente seduti davanti ai computer a lamentarvi dei soliti raccomandati (che tanto sono presenti in tutti i mestieri, non vi preoccupate), delle cose che vanno male, del mondo così e dell'italia cosà non servirà a molto...se davvero volete diventare giornalisti, provateci, ma non è facile, come non è facile diventare scrittori, notai, medici, dentisti o quant'altro.
E sopratutto non lamentatevi se mentre siete in coda per il vostro bel mestiere un figlio di papà vi sfreccia accanto con la sua ferrari nuova nuova, perchè a lamentarsi al computer sono buoni tutti, sono pochi quelli che fanno qualcosa per cambiare questo bel casino...

esaù ha detto...

@ Gemina.
Credimi, mi spiace percepire tanta acredine nelle tue parole e pure, permettimi, qualche pregiudizio condito da frecciatine (gratuite) a chi sta su una "comoda poltrona" e tu non conosci.
Io ho cercato di fare un discorso in termini generali, pacatamente, cercando di essere costruttivo.
Non ho detto che per riuscire bisogna essere ruffiani o baciapile, ho detto che il mestiere del giornalista, per buona parte, consiste nel crearsi contatti per costruirsi delle fonti, e ciò significa girare, essere affabili, paraculi, anche sfacciati quando purtroppo devi chiedere la foto di un defunto.

Poi, uno può comportarsi così all'inizio, per emergere e poi magari sedersi...

Se poi uno non vuole proprio fare il giornalista d'assalto o non si sente in sintonia con questo metodo, non potrà pretendere di avere molte notizie buone nella sua carriera.

E magari dovrà orientarsi sul versante del giornalismo "seduto", da deskista, che come dicevo è campo paradossalmente più difficile perché è più ostico farsi notare.

Benedetto Croce diceva: "Un buon giornalista dovrebbe dare ogni giorno un dispiacere a qualcuno". E in questo senso, forse, un timido non sarà mai un grande giornalista.

E a volte sì, bisogna pure fare una cosa che ti farà tanto schifo per avere una notizia: un finto sorriso all'intervistato per "conquistarlo" nella mezz'ora in cui lo intervisti.

Quanto al fatto che c'è chi non ti risponde o ti ruba le notizie, ripeto, mi spiace: ma non sono tutti cosi', sia ben chiaro. Vallo a trovare questo tizio, aspettalo sotto la redazione con il foglio delle tue proposte e digli: "Prendiamo un caffè e mi spieghi?".
Magari quello apprezza pure l'intraprendenza.

Pensa anche che tra tanti non meritevoli sistemati in poltrona, ce ne sono tanti che hanno combattuto per arrivarci: tra questi c'è chi poi si è seduto e chi ancora combatte perchè gli piace quello che fa e cerca pure di ascoltare le buone proposte dei giovani.

Infine, ripeto: non è vero che è un mestiere da ricchi. E' solo un mestiere in cui bisogna emergere per guadagnare. Ma è così in tutto il mondo.

Ah, un'ultima cosa. Invece di arrovellarti perche' ci sono tonnellate di persone a tuo dire degne quanto te di fare questo mestiere, chiediti ogni giorno: a 'sto punto, perche' dovrebbero assumere me e non un altro?

Unknown ha detto...

Una piccola cosa sui curricola. Rispondo solo per me, ovviamente. Come funzionano i grandi giornali, "Repubblica", il "Corriere della Sera", è questione troppo ampia e quindi troppo generica. Io leggo tutti i curricola che ricevo e rispondo a tutti. Se non rispondo, vuol dire che la email è andata perduta in uno dei tanti crolli di outlook. Con i curricola ho trovato diversi collaboratori. Da me, con un curriculum, è arrivata Eva Grippa, adesso a D, non ancora assunta causa crisi ma nella lista degli assumendi secondo accordo tra azienda e Cdr. Qualche volta ho chiamato a collaborare uno studente dopo un esame da 30 (insegnavo a Scienze della comunicazione). Il problema è che oggi la capacità di assorbimento dei giornali è minima. E in generale è vero che ci sono molti più giovani di talento di quanti sono i possibili spazi da occupare. E' come se la festa fosse finita. Ma in fondo, arrivato a Repubblica, avevo la stessa sensazione che la festa fosse finita, quando sentivo gli epici (e forse un po' romanzati) racconti di quelli si erano imbarcati con Scalfari sulla scialuppa che di lì a qualche anno avrebbe superato il "Corriere". Se questa festa è finita, ragazzi, ci sarà sempre un'altra festa. Non bisogna smettere di cercare.

Anonimo ha detto...

Ciao Gemina, apri bene gli occhi perché farò luce su un mistero. Vuoi davvero sapere la verità? Sei pronta ad andare contro un'intera metropolitana di verità arrancando sul binario metallico dei tuoi desideri, che a tuo dire dovrebbero portarti verso quella felicità che, in quanto aspirante giornalista, pensi ti sia dovuta dal Grande Distributore di Felicità al Termine dell'universo? Bene. Allora ti dirò la verità. Ma attenta, la verità è come un orso affamato che non vedi e che non ha alcun riguardo per il tuo aver pagato il canone. O per il tuo aver la carta di identità in regola. O per il tuo aver fatto la scuola di giornalismo. La verità è quello che c'è là fuori ed è pronto a schiacciare il mondo, è un branco di lupi pronti a dilaniare ogni rispetto di te stessa. Così non te la dirò la verità. Non posso dirtela. Tu vuoi sapere perché non ti danno retta? Io lo immagino. Io lo vedo. Io lo so. E tu, se devi chiederlo, non lo saprai mai.

gemina ha detto...

L'acredine ti viene quando non noti granché di umanità da parte di chi è arrivato. E quando si sente santificare un sistema che comunque qualche problemino sembra proprio avercelo.

Sì, mi fanno rabbia le persone arrivate che rinfacciano agli altri che potevano fare l'ingegnere. E poi, scusa, non c'è acredine anche in questo tipo di atteggiamento? A me pare di sì.

Pensi che la responsabilità delle difficoltà stia tutta da una parte?
O anche tu pretendi, come l'anonimo, che non dobbiamo nemmeno lamentarci se ci tocca giocare con delle regole disumane?

Inoltre mi sembra abbastanza banale che uno debba riuscire a farsi rilasciare un'intervista, sorridendo o piangendo, se necessario. Ma stavamo parlando delle entrature, mi pare. Dei rapporti con chi può farti fare o non fare qualcosa.

E comunque io non vedo davvero altra possibilità che essere ricchi di famiglia per poter aspettare non dico uno stipendio, ma un minimo di regolarità lavorartiva. Anche guadagnare pochissimo, ok, ma con una certa continuità non dispiacerebbe, visto che l'affitto si paga tutti i mesi. Oppure si può decidere di sbarcare il lunario con qualche altro part time, ma poi ti voglio vedere a correre dietro a tutti quelli cui hai mandato le proposte e non ti hanno risposto (prima suggerivi di mandare a raffica).

Ovviamente mi sono chiesta anche perché io no. Mi sono risposta che sono maledettamente abituata a non chiedere (nelle famiglie umili, sai, è una vergogna chiedere anche quello che ti spetta. E benché non condivida questo principio credo di averlo assorbito). Che detesto la falsità dei rapporti interessati ma mascherati. E pure che sono troppo timida. E che spesso ho troppa soggezione ingiustificata. Come vedi, mi sforzo di capire quali sono i miei difetti, per lavorarci su.
Ma come diceva qualcun altro, se uno ricevesse delle risposte magari avrebbe qualche elemento in più per capire. Anche che non si è bravi, o non sufficientemente. Invece tocca far tutto da soli, le proposte a casa e poi anche capire cosa si sbaglia.

Invece ora qualcuno viene a dire che noi dobbiamo cambiare un sistema che non abbiamo fatto, e per di più senza fiatare.

Caro anomino, ho già detto sul non essere all'altezza. Il bello è che a questo mondo c'è ancora in giro un po' di umanità. Ed è a quella che parlo.

esaù ha detto...

@ Gemina.
Scusa, ma davvero non ti capisco. Che cosa pretendevi, di prendere la laurea e mantenerti subito come giornalista? Chi, come te, come me, non ha santi in Paradiso deve fare gavetta purtroppo. E lavorare gratis o quasi, come gli aspiranti avvocati e gli aspiranti professori universitari, gente che come i giornalisti deve bene o male trovare qualcuno che creda nel loro talento (visto che i concorsi sono quello che sono e nel giornalismo manco esistono piu').

Trovare qualcuno che creda in te e ti lanci non significa necessariamente fare i baciapile. Significa anche meritarselo, caratterialmente e concretamente. Come? Un modo, nel giornalismo, c'è: fare proposte decenti. "Stupiscimi" diceva Gordon Gekko al suo allievo in Wall Street.

Tu hai mai stupito qualcuno con una tua proposta al punto che quando te l'hanno rubata volevi spaccare il mondo? Quanti scoop ti hanno soffiato? Perche' dovrebbero pagarti duecento euro un pezzo su un consiglio comunale o su una mostra del Giorgione che potrebbe fare chiunque e magari pure meglio?

Se le tue proposte sono state respinte o rubate senza neppure una risposta tre sono le cose:
1) hai trovato dei banditi. Cambia destinatari.
1) Non ti conoscevano abbastanza da ritenerti "credibile": e allora, fatti conoscere, presentati, bussa in redazione, rompi i coglioni.

3) Erano proposte scadenti e banali.

Mandale a me le tue proposte, se vuoi ne discutiamo: dammi la tua mail.

gemina ha detto...

g.gemina@yahoo.it

Fabio P ha detto...

Tutto questo è molto interessante, però il prossimo che scrive "curricula" si prende una vergata sule chiappe. Il plurale dell latino non si coniuga, così come non si coniuga il plurale in inglese (non si dice il films, i computers). Il fesso dice: il latino è diverso, non è una lingua straniera. L'altro fesso aggiunge: lo dicono in tanti. Ah sì? Avete sentito qualcuno dire referenda come plurale di referendum? Allora piantatela di scrivere cazzate e scrivete come parlate (consiglio da vecchio caposervizio che di gente che scrive cazzate come queste ne ha strigliate molte). Oh!

Enrico Maria Porro ha detto...

Gemina, facci sapere gli sviluppi. Siamo curiosi. Potrebbe essere il primo caso di assunzione generata dalla discussione su un blog.

gbraidotti ha detto...

E' stato davvero interessante e divertente! grazie

Enrico Maria Porro ha detto...

bene! siamo contenti.