sabato 30 agosto 2008

Il recidivo Mastrogiacomo ci riprova in Georgia.



Non gli è bastato rischiare di morire in Afghanistan. Adesso Daniele Mastrogiacomo ci riprova in Georgia, dove a Poti, sfida i soldati russi che lo intimano di fermarsi ai posti di blocco.

Ecco un passaggio esplicativo del suo reportage di oggi:

«Via, andate via!». A torso nudo, raccolti attorno ad un falò che alza fiamme di due metri e un fumo denso e nero, un gruppo di soldati russi agita minaccioso i kalashnikov. Restiamo bloccati sulla strada che adesso è piena di buche grandi come voragini e colme di acqua verdastra.
L´autista è incerto. Vorrebbe premere sull´acceleratore e forzare il blocco. «Devo andare da quella parte, non sono ancora loro i nostri padroni», sibila con voce strozzata dalla paura. I soldati avanzano, vengono verso di noi. Qualcuno carica il fucile, urla altre frasi che l´interprete, freddo e deciso, continua a tradurre come degli insulti. Un contadino appollaiato sotto un albero si tocca la tempia con un dito. Ci prende per folli. Si piazza davanti alla nostra auto e ci indica la strada sulla sinistra.

Adesso le canne dei fucili sono a una decina di metri. I soldati le puntano su di noi. L´autista demorde. Incassa, grugnisce, ingrana la prima, preme sul gas, si defila, cede alla rabbia che, come migliaia di altri georgiani, cova da due settimane. Tira fuori il braccio dal finestrino e alza il dito medio con un segno inequivocabile.


La Repubblica 29-08-2008

martedì 26 agosto 2008

I quattro candidati repubblicani alla convention democratica di Denver.



Che ci fanno quattro inviati repubblicani alla convention democratica di Denver, Colorado? Semplice: scrivono pezzi per il giornale di Mauro.

Sono Vittorio Zucconi, Mario Calabresi, Marco Contini e Alberto Flores D'Arcais.

Il primo editoriale della dolce Concita all'Unità.



IL NOSTRO POSTO
di Concita De Gregorio

Sono cresciuta in un Paese fantastico di cui mi hanno insegnato ad essere fiera. Sono stata bambina in un tempo in cui alzarsi a cedere il posto in autobus a una persona anziana, ascoltare prima di parlare, chiedere scusa, permesso, dire ho sbagliato erano principi normali e condivisi di una educazione comune. Sono stata ragazza su banchi di scuola di città di provincia dove gli insegnanti ci invitavano a casa loro, il pomeriggio, a rileggere ad alta voce i testi dei nostri padri per capirne meglio e più piano la lezione. Sono andata all’estero a studiare ancora, ho visto gli occhi sbigottiti di coloro a cui dicevo che se hai bisogno di ingessare una frattura, nei nostri ospedali, che tu sia il Rettore dell’Università o il bidello della Facoltà fa lo stesso, la cura è dovuta e l’assistenza identica per tutti. Sono stata una giovane donna che ha avuto accesso al lavoro in virtù di quel che aveva imparato a fare e di quel che poteva dare: mai, nemmeno per un istante, ho pensato che a parità di condizioni la sorte sarebbe stata diversa se fossi stata uomo, fervente cattolica, ebrea o musulmana, nata a Bisceglie o a Brescia, se mi fossi sposata in chiesa o no, se avessi deciso di vivere con un uomo con una donna o con nessuno.
Ho saputo senza ombra di dubbio che essere di destra o di sinistra sono cose profondamente diverse, radicalmente diverse: per troppe ragioni da elencare qui ma per una fondamentale, quella che la nostra Costituzione – una Costituzione antifascista - spiega all’articolo 2, proprio all’inizio: l’esistenza (e il rispetto, e il valore, e l’amore) del prossimo. Il “dovere inderogabile di solidarietà” che non è concessione né compassione: è il fondamento della convivenza. Non erano mille anni fa, erano pochi. I miei genitori sapevano che il mio futuro sarebbe stato migliore del loro. Hanno investito su questo – investito in educazione e in conoscenza – ed è stato così. È stato facile, relativamente facile. È stato giusto.
Per i nostri figli il futuro sarà peggiore del nostro. Lo è. Precario, più povero, opaco.
Chi può li manda altrove, li finanzia per l’espatrio, insegna loro a “farsi furbi”. Chi non può soccombe. È un disastro collettivo, la più grande tragedia: stiamo perdendo la fiducia, la voglia di combattere, la speranza. Qualcosa di terribile è accaduto negli ultimi vent’anni. Un modello culturale, etico, morale si è corrotto. La politica non è che lo specchio di un mutamento antropologico, i modelli oggi vincenti ne sono stati il volano: ci hanno mostrato che se violi la legge basta avere i soldi per pagare, se hai belle le gambe puoi sposare un miliardario e fare shopping con la sua carta di credito. Spingi, salta la fila, corrompi, cambia opinione secondo la convenienza, mettiti al soldo di chi ti darà una paghetta magari nella forma di una bella presidenza di ente pubblico, di un ministero. Mettiti in salvo tu da solo e per te: gli altri si arrangino, se ne vadano, tornino a casa loro, crepino.
Ciò che si è insinuato nelle coscienze, nel profondo del Paese, nel comune sentire è un problema più profondo della rappresentanza politica che ha trovato. Quello che ora chiamiamo “berlusconismo” ne è stato il concime e ne è il frutto. Un uomo con un potere immenso che ha promosso e salvato se stesso dalle conseguenze che qualunque altro comune cittadino avrebbe patito nelle medesime condizioni - lo ha fatto col denaro, con le tv che piegano il consenso - e che ha intanto negli anni forgiato e avvilito il comune sentire all’accettazione di questa vergogna come fosse “normale”, anzi auspicabile: un modello vincente. È un tempo cupo quello in cui otto bambine su dieci, in quinta elementare, sperano di fare le veline così poi da grandi trovano un ricco che le sposi. È un tempo triste quello in cui chi è andato solo pochi mesi fa a votare alle primarie del Partito Democratico ha già rinunciato alla speranza, sepolta da incomprensibili diaspore e rancori privati di uomini pubblici.
Non è irrimediabile, però. È venuto il momento di restituire ciò che ci è stato dato. Prima di tutto la mia generazione, che è stata l’ultima di un tempo che aveva un futuro e la prima di quello che non ne ha più. Torniamo a casa, torniamo a scuola, torniamo in battaglia: coltivare i pomodori dietro casa non è una buona idea, metterci la musica in cuffia è un esilio in patria. Lamentarsi che “tanto, ormai” è un inganno e un rifugio, una resa che pagheranno i bambini di dieci anni, regalargli per Natale la playstation non è l’alternativa a una speranza. “Istruitevi perché abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza”, diceva l’uomo che ha fondato questo giornale. Leggete, pensate, imparate, capite e la vita sarà vostra. Nelle vostre mani il destino. Sarete voi la giustizia. Ricominciamo da qui. Prendiamo in mano il testimone dei padri e portiamolo, navigando nella complessità di questo tempo, nelle mani dei figli. Nulla avrà senso se non potremo dirci di averci provato.
Questo solo posso fare, io stessa, mentre ricevo da chi è venuto prima di me il compito e la responsabilità di portare avanti un grande lavoro collettivo. L’Unità è un pezzo della storia di questo Paese in cui tutti e ciascuno, in tempi anche durissimi, hanno speso la loro forza e la loro intelligenza a tenere ferma la barra del timone. Ricevo in eredità - da ultimo da Furio Colombo ed Antonio Padellaro – il senso di un impegno e di un’impresa. Quando immagino quale potrebbe essere il prossimo pezzo di strada, in coerenza con la memoria e in sintonia con l’avvenire, penso a un giornale capace di parlare a tutti noi, a tutti voi di quel che anima le nostre vite, i nostri giorni: la scuola, l’università, la ricerca che genera sapere, l’impresa che genera lavoro. Il lavoro, il diritto ad averlo e a non morirne. La cura dell’ambiente e del mondo in cui viviamo, il modo in cui decidiamo di procurarci l’acqua e la luce nelle nostre case, le politiche capaci di farlo, il governo del territorio, le città e i paesi, lo sguardo oltreconfine sull’Europa e sul mondo, la solidarietà che vuol dire pensare a chi è venuto prima e a chi verrà dopo, a chi è arrivato da noi adesso e viene da un mondo più misero e peggiore, solidarietà fra generazioni, fra genti, fra uguali ma diversi. La garanzia della salute, del reddito, della prospettiva di una vita migliore. Credo che per raccontare la politica serva la cronaca e che la cronaca della nostra vita sia politica. Credo che abbiamo avuto a sufficienza retroscena per aver voglia di tornare a raccontare, meglio e più onestamente possibile, la scena. Credo che la sinistra, tutta la sinistra dal centro al lato estremo, abbia bisogno di ritrovarsi sulle cose, di trovare e di dare un senso al suo progetto. Il senso, ecco. Ritrovare il senso di una direzione comune fondata su principi condivisi: la laicità, i diritti, le libertà, la sicurezza, la condivisione nel dialogo. Fondata sulle cose, sulla vita, sulla realtà. C’è già tutto quello che serve. Basterebbe rinominarlo, metterlo insieme, capirsi. Aprire e non chiudere, ascoltarsi e non voltarsi di spalle. È un lavoro enorme, naturalmente. Ma possiamo farlo, dobbiamo. Questo giornale è il posto. Indicare sentieri e non solo autostrade, altri modi, altri mondi possibili. Ci vorrà tempo. Cominciamo oggi un lavoro che fra qualche settimana porterà nelle vostre case un quotidiano nuovo anche nella forma. Sarà un giornale diverso ma sarà sempre se stesso come capita, con gli anni, a ciascuno di noi. L’identità, è questo il tema. L’identità del giornale sarà nelle sue inchieste, nelle sue scelte, nel lavoro di ricerca e di approfondimento che - senza sconti per nessuno - sappia spiegare cosa sta diventando questo paese; nelle voci autorevoli che ci suggeriscano dove altro sia possibile andare, invece, e come farlo. Sarà certo, lo vorrei, un giornale normale niente affatto nel senso dispregiativo, e per me incomprensibile, che molti danno a questo attributo: sarà un normale giornale di militanza, di battaglia, di opposizione a tutto quel che non ci piace e non ci serve. Aperto a chi ha da dire, a tutti quelli che non hanno sinora avuto posto per dire accanto a quelli che vorranno continuare ad esercitare qui la loro passione, il loro impegno. Non è qualcosa, come chiunque capisce, che si possa fare in solitudine. C’è bisogno di voi. Di tutti, uno per uno. Non ci si può tirare indietro adesso, non si deve. È questa la nostra storia, questo è il nostro posto.

L'Unità

sabato 23 agosto 2008

Ultimora: la dolce Concita lascia Repubblica per andare a dirigere L'Unità di Renato Soru.





Interrompiamo (momentaneamente) le vacanze per darvi questa notizia shock: Concita De Gregorio lascia La Repubblica per andare a dirigere la nuova Unità di Renato Soru.

ROMA - Concita De Gregorio è il nuovo direttore dell'Unità. Il consiglio di amministrazione della Nuova iniziativa editoriale (Nie), società editrice del quotidiano, ha accolto la proposta dell'azionista di nominare alla direzione la De Gregorio, che si insedierà da lunedì 25 agosto.

Inizia dunque il nuovo corso del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e la cui proprietà è passata a Renato Soru. Concita De Gregorio, che finora è stata firma di punta di Repubblica, subentra ad Antonio Padellaro che ha guidato la redazione dal marzo 2005. E' la prima donna chiamata a dirigere il quotidiano fondato da Antonio Gramsci.

Nata a Pisa il 19 novembre del 1963, la De Gregorio, all'attività di giornalista affianca quella di scrittrice: nel 2002 pubblica 'Non lavate questo sangue', diario dei giorni del G8 a Genova; nel 2006 firma 'Una madre lo sa. Tutte le ombre di un amore perfetto' (Mondadori), tra i finalisti del Premio Bancarella 2007. A settembre è prevista l'uscita di un altro libro il cui titolo provvisorio è 'Malamore', sul tema della violenza domestica e privata.

(22 agosto 2008) La Repubblica

domenica 17 agosto 2008

Guerra nel Caucaso, Olimpiadi e altre frattaglie estive. Ecco il resoconto di mezzagosto. Ci rivediamo a settembre.

LA GUERRA NEL CAUCASO

A Leonardo Coen non ne va bene una. Ok che è andato a Pechino a scrivere di Olimpiadi, ma dopo aver piantato le radici a Mosca senza che succedesse nulla, appena si allontana dalla Piazza Rossa muore Alexander Solgenitsyn e due giorni dopo scoppia la guerra nel Caucaso tra Georgia e Russia. E' anche vero che Leonardo ha commentato entrambi gli avvenimenti da Pechino , ma la cosa è quantomeno curiosa. Salutiamo con stima l'ottimo Leonardo, il suo Milan, con Ronaldinho, quest'anno può dargli molte soddisfazioni.

Chi ne approfitta, invece, è Pietro Del Re, che trovatosi casualmente a Mosca per sostituire appunto Coen, si è ritrovato tra le mani le due super notizie. Del Re sicuramente pensava di trascorrere più tranquillamente il soggiorno russo e invece si è visto catapultare nelle zone di guerra: prima a Gori, in Georgia, e poi addirittura a Tskhinvali, Ossezia del Sud, dove firma (insieme all'inviato de La Stampa Emanuele Novazio) un gran pezzo rischiando di finire sotto il tiro dei carri armati sovietici.

A dar manforte a Del Re, arriva il ben più esperto Renato Caprile (l'inviato de guera) mandato dalla redazione esteri quando il conflitto è sembrato allargarsi. Caprile prima dello scoppio delle ostilità si trovava già "in zona" essendo a Gerusalemme a sostituire il vacanziero Alberto Stabile.

LE OLIMPIADI DI PECHINO

A Pechino Repubblica batte il suo personale record di inviati: ben 12. Eccoli con le rispettive mansioni:

Emanuela Audisio
: la signora dello sport è il fiore all'occhiello di Repubblica, ogni giorno sforna pezzi pregiati su tutti gli sport. Onnivora.

Marco Mensurati: promosso in qualità di cronacaro calcistico, batte sul filo di lana gli altri papabili inviati del pallone, ma si conferma portatore di malasuerte: infatti l'Italia esce ai quarti con il Belgio.

Mattia Chiusano: impegnato su varie discipline: scherma, ginnastica e altri sport minori.

Maurizio Crosetti: altra penna forte. Non deve dimostrare più nulla. Firma il pezzo a commento della cerimonia inaugurale. Presente tutti i giorni con la rubrica Chinatown.

Paolo Rossi: scrive di nuoto, di tennis e altro.

Federico Rampini: più che un inviato è un locale. Ormai ha gli occhi a mandorla. Presente tutti i giorni con la rubrica Diario da Pechino.

Leonardo Coen: di lui si è già detto più sopra. A Pechino rimonta sulla bicicletta, sua passione da sempre.

Fabrizio Bocca
: si impegna come sempre in pezzi di routine.

Gabriele Romagnoli: non si firma come inviato perchè di Repubblica, lui, è un collaboratore esterno. Comunque è molto più inviato di molti inviati con la sua paginona quotidiana che porta il semplice nome di la gara in cui sminuzza una gara in particolare e ce la racconta con passione.Presente tutti i giorni con la rubrica Navi in bottiglia.

Emilio Marrese: riecco il redivivo Emilio. Dopo una lunga assenza da Repubblica (era a Il Venerdì) ritorna prepotentemente a scrivere di sport riuscendo, a volte, ad emulare lo stile caustico di Crosetti. Bentornato!

Antonio Dipollina: il televisionaro di Repubblica trasforma la sua rubrica abituale sulla tivù e la ribattezza Schermaglie Olimpiche. Alcuni passi sono da incorniciare.

Corrado Sannucci: arriva per ultimo a Pechino in concomitanza con l'inizio delle gare di atletica, di cui è il re.

Vittorio Zucconi: il grande assente di questi giochi. Non si è qualificato nei trials americani.

ALTRE DI CALCIO

Crosetti è a Pechino, Currò e Sorrentino sono in vacanza. Tocca quindi alle seconde linee di Repubblica commentare il calcio d'agosto delle grandi.

Emanuele Gamba si fa l'Europa in lungo in largo per seguire la Juventus, lui che è un granata doc.

Altrettanto fa Gianni Piva alle prese con le avventure europee di Inter e Milan.

Chiudiamo segnalando la latitanza viola di Benedetto Ferrara (ferie?), sostituito alla grande da Giuseppe Calabrese.

lunedì 4 agosto 2008

Anche i feticisti hanno un'anima. Vacanziera.



PazzoPerRepubblica va in vacanza. Tornerà a settembre.

Se anche tu sei un feticista di Repubblica, mandaci la tua storia alla mail che trovi a destra sotto la testata del blog. La pubblicheremo.

E' morto Solgenitsin: clamoroso flop di repubblica.it che si fa fregare dalla concorrenza.

Di solito il sito di Repubblica è il primo (in Italia) a dare le notizie.

Stavolta però si è fatto clamorosamente anticipare dal sito del nemico che, come da foto qui sotto, alle ore 00,07 di lunedì 4 agosto, riportava già in home page la notizia della morte dello scrittore russo Alexander Isaevich Solgenitsin, deceduto alle 21,45 (ora italiana).



Qui sotto, invece, ecco la home page di Repubblica.it alla stessa ora. Come vedete la notizia della morte di Solgenitsin viene riportata solamente come occhiello sotto la testata.



Ma non è finita: repubblica.it si è fatto fregare anche dai siti dei due principali quotidiani spagnoli El Pais e El Periodico che alle 00,07, come da foto qui sotto, già riportavano la notizia.





Per completezza dell'informazione, segnaliamo che , solamente alle 01,01 sul sito di Repubblica è apparsa la notizia completa della morte (vedi foto qui sotto).

Cristina Nadotti a Londra, dove il meteo segnala pioggia.



Ci fa piacere sapere che da qualche giorno Cristina Nadotti è a Londra a far le veci di Franceschini (ferie?).

Abbiamo letto su meteo.it che a Londra sta piovendo e quindi ci siamo immaginati lo scenario che ha davanti a sè Cristina mentre scrive i suoi pezzi su Salman Rushdie e Franz Kafka.

Ringraziamo Aaron per la foto.

domenica 3 agosto 2008

Una foto del primo numero di Repubblica.



L'abbiamo trovata qua.

Grazie all'autore.

Inviati a Pechino 2008: Bocca e Audisio presenti!



Emanuela Audisio e Fabrizio Bocca (insieme al corrispondente cinese Federico Rampini) fanno da apripista nel computo degli inviati che per Repubblica seguiranno le Olimpiadi a Pechino.

Buon lavoro a Emanuela e Fabrizio.

sabato 2 agosto 2008

Tra i lati positivi dell'arresto di Karadzic...



...c'è anche quello di ritrovare l'inviato Fabrizio Ravelli, che corre a L'Aja per il processo al boia serbo (nella foto senza barba e baffi).

Què viva Paz!



Oggi con Repubblica numero speciale di XL in omaggio.
Ed è tutto dedicato ad Andrea Pazienza!
Sono vent'anni (venti, sic!) che Paz ci ha lasciato.
Io vent'anni fa manco sapevo chi fosse Paz: avevo 14 anni e leggevo Topolino: figuriamoci se potevo sapere dell'esistenza di Frigidaire, del Male o del Cannibale, tsè.
Paz me lo fece scoprire il mio fidanzato dei tempi dell'Università, a metà degli anni novanta.
Lui, appassionato di fumetti del genere colto - per dire: detestava Manara, Bonelli e gli italiani in genere - leggeva soprattutto i francesi e gli argentini, tipo Munoz e Sampayo, Moebius.
Io lo guardavo come si guarda a un dio, e nel frattempo imparavo tutto, curiosa come sono.
L'unico italiano che salvava era Pazienza; aveva gli albi di Pompeo e di Zanardi. Il primo che mi passò fu proprio Pompeo. L'impatto con il tratto e la storia per me fu violentissimo, e forse era proprio quello che Paz cercava.
Da allora ho letto tutto quello che ho trovato di lui, da "Francesco Stella" a "Visca", passando per "Una estate" che per me rimane la storia più bella, così intrisa di nostalgia per i luoghi dell'infanzia, le vacanze interminabili al mare e le pennichelle pomeridiane obbligatorie.
Paz l'ho incasellato come un adorabile stronzo: chissà che faceva passare alle sue donne, che lo avranno adorato come un dio greco.
Ricordo certe strisce che aveva dedicato a Vincino per la nascita della figlia. Paz giocava sul nome da dare alla "Pupa", enumerando una serie di combinazioni esilaranti che potessero funzionare con il terronissimo cognome "Gallo".
E tutte le storie partigiane con il terribile Pert!
Che tristezza scoprire che molti non lo conoscono.
L., ad esempio, al quale da stamattina cerco di spiegare chi sia, cosa abbia fatto e soprattutto cosa Paz rappresenti.
Ma niente. Troppo giovane forse. Macchè.
Solo troppo ignorante.

Arianna G., la nuova inviata di PazzoPerRepubblica

venerdì 1 agosto 2008

Per Pamuk nessuna copia carbone: Marco Ansaldo scagionato.



Le accuse a Marco Ansaldo di aver fotocopiato un pezzo su Pamuk sono false.

Italia Oggi, che aveva ipotizzato il presunto plagio, ha rettificato la notizia pubblicando la difesa di Marco Ansaldo (foto).

Ci scusiamo vivamente con Marco Ansaldo.

Arianna G.: una vera feticista di Repubblica.



Il post dello scorso 26 luglio ha già mietuto una vittima. Si chiama Arianna G. ed è una vera feticista di Repubblica.
Ecco la sua lettera confessione:

"Ciao Enrico,

rispondo all'accorato appello comparso sul tuo - bellissimo - blog il 26 luglio scorso.
Inutile dire che sono un'assidua lettrice di Pazzo per Rep nonché di Rep (ah già, dimenticavo: per me Repubblica è Rep).
Rep la leggo da quando avevo più o meno 13 anni, e cioè dalla quarta ginnasio (ora ne ho 34 suonati). Mi alzavo all'alba per prendere la corriera che mi avrebbe portato a scuola e, per passare il tempo leggevo. Cominciai così a investire i pochi soldini della paghetta nell'acquisto di quel giornale che mi attirava solo per il fatto di avere un formato più maneggevole degli altri.
Capivo pochissimo, quasi nulla, di quello che c'era scritto ma il germe della Rep-dipendenza si stava impadronendo lentamente di me.

Sono passati molti anni, ho lasciato il paesino e la corriera, ora vivo a Milano, ho cambiato case, lavori e uomini ma non posso iniziare la mia giornata senza una copia di Rep. La leggo in qualunque condizione, in piedi in tram, pigiata in metro, e osservo con morbosità quelli che hanno in mano una copia come la mia. A volte ci scambiamo sguardi di complicità.

Voglio comunque precisare che la mia affezione non mi impedisce di mantenere, almeno spero, il senso critico che mi permette di accorgermi anche delle cose che non vanno bene, dei "buchi" (non leggo solo Rep) e del decadimento generale che purtroppo è toccato anche alla linea editoriale del nostro amatissimo foglio.

Mi sto dilungando. Mi farebbe piacere dare una mano a scovare refusi, segnalare buchi o pezzi di bravura (a proposito, anch'io ho dato un nome all'editoriale della domenica di Scalfari; io lo chiamo "l'Articolessa", visto che generalmente supera le 8 colonne).

A presto,

Arianna G."


Sei anche tu un/una feticista di Repubblica? Mandaci la tua storia all'indirizzo di posta che trovi a destra sotto la testata del blog. Saremo lieti di pubblicarla.

Ah! La foto è simbolica, l'abbiamo trovata qui.

Stefano Giantin: il beniamino del mese.



Dopo Miu Terranera e Giuliana Ubbiali, PazzoPerRepubblica ha un nuovo beniamino. Si tratta di Stefano Giantin (foto), che su Repubblica di oggi ci scrive un pezzo da Sarajevo sul violoncellista bosniaco Vedran Smailovic che nel '92 sfidò le bombe pur di suonare in onore delle vittime dei cecchini serbi.

Abbiamo provata a "googlare" Giantin e abbiamo scoperto che è nato a Udine nel '77. Che ha lavorato al fianco del reporter di guerra Fausto Biloslavo per Il Foglio e per Panorama. E' specializzato in politica dei Balcani e in special modo del Kosovo.
Stefano però è anche un regista. Nel 2006 ha fondato la Saputnik Film, casa di produzione di documentari legati alle problematiche dei diritti umani. La Saputnik Film ha sede a a Gemona del Friuli (UD) e ha un secondo ufficio a Belgrado (Serbia). Nell’Aprile 2007 realizza il film “A Minority Report – Kosovo Minorities Eight Years After”, video-documentario sui problemi etnici e sociali in Kosovo.

Chi avesse altre notizie su Stefano è pregato di comunicarcelo. Grazie.

A proposito: chi ha notizia di Miu Terranera?

Fermento di inviati.



Mentre il turco Marco Ansaldo è a Istambul per racccontarci come ha fatto Erdogan a salvarsi il culo per un voto, scopriamo che a Gerusalemme sono ben due gli inviati che ci parlano dell'abbandono di Olmert: Renato Caprile e Vincenzo Nigro.
Concludiamo segnalando il ritorno dell'inviata con le palle Francesca Caferri che è andata a farsi un giretto in Libano per il giallo della popstar Suzanne Tamim (foto).