giovedì 31 luglio 2008

Scalfari, Caracciolo e Passera: quella sera d'estate a Cori.



Su Repubblica di oggi Eugenio Scalfari racconta, nel suo stile sobrio, un incontro avvenuto a casa di Carlo Caracciolo nelle campagne davanti a Cori (Lt) al quale ha partecipato anche Corrado Passera.

Ecco l'epilogo del racconto:

"Si era fatto tardi, ci accomiatammo dal nostro ospite e andammo verso le auto. Il cielo era terso, splendeva sulle nostre teste il carro dell'Orsa e le luci di Cori sulla collina di fronte.

Ci abbracciammo. Corrado era contento della lunga rimpatriata e io pure. Ti auguro il successo che ti meriti, gli dissi montando nella mia auto. Lui agitò il braccio e chiuse lo sportello della sua. Gli passai accanto sulla strada sterrata e gli dissi ancora: era meglio vendere ad Air France. Lui rispose: "Può darsi, ma a noi ci hanno chiamato dopo".


Qui trovate la versione integrale del pezzo di Scalfari.

Copyright: La Repubblica

mercoledì 30 luglio 2008

I giornali non vendono? Sono fatti troppo bene.



Escono i dati di diffusione della stampa tra maggio 2007 e aprile 2008 (la cosiddetta “media mobile”): Corriere –3,1%, Repubblica –1,3%, Giornale – 6,6%, Messaggero –4,6%, Sole24Ore –2%. Peggio per i settimanali: Tv Sorrisi e Canzoni –4%, Di Più –6,5% Oggi –8,1%, Famiglia Cristiana –13,3%, ecc.
La colpa è del caro-bollette, del carobenzina, del caro-affitti, del caro-mutui… ma non manca chi punta il dito contro i giornali stessi: troppo politicizzati, difficili, elitari, rivolti a un pubblico ormai frammentato per interessi e modalità di fruizione. A critiche del genere la Federazione degli Editori, nello studio “La stampa in Italia (2005 – 2007)” reperibile su www.fieg.it, risponde con decisione: “L’accusa è infondata ed è frutto di un pregiudizio che non si basa su fatti concreti”.
Anzi, “semmai si dovrebbe dire il contrario, che i giornali italiani sono fatti troppo bene” perché “ricchi di pagine, di inchieste, di indagini, di cultura,
di intrattenimento e per questo motivo i costi di produzione sono molto elevati”. “Non sono un insieme di notizie ma sono soprattutto un percorso informativo, un modo di organizzare l’informazione selezionando la montagna di notizie che arriva da ogni dove”. Anzi, proprio “dalla capacità di offrire un’informazione organizzata e
ragionata nasce quella credibilità che lega la testata ai lettori in un rapporto
che è di fiducia e anche di condivisione di una linea politico-culturale che è l’identità del giornale”. Ma perché allora i giornali sono così poco comprati (e sempre meno)? “La risposta non è solo di carattere economico, perché a non essere granché comprati in Italia non sono soltanto i giornali ma, in generale, la cultura”. Ossia la scarsa attitudine all’acquisto di giornali è in linea con il livello culturale del Paese “che negli ultimi anni si è andato deteriorando
e oggi appare preoccupante”.
Tanto che siamo all’ “emergenza educativa”: i quindicenni italiani “sono al 33° posto per competenza di lettura e al 36° per cultura scientifica” nei paesi
OCSE. Ma gli editori non stanno a guardare e già si profila un’inversione di rotta rispetto a solo un paio d’anni fa, quando il boom di gadget e collaterali aveva sostenuto i conti degli editori e gli uomini di marketing avevano soffiato il ruolo guida ai direttori dei giornali. Oggi la parola d’ordine è “back to basics” e a pronunciarla su Il Sole24Ore è Maurizio Costa, a.d. di Mondatori. Torna centrale il prodotto, i suoi contenuti, la sua ricchezza informativa e la sua godibilità. Forse c’è ancora qualcosa da migliorare: ed è già una buona notizia.

Mauro Broggi - pianetaterra@mediaforum.it

martedì 29 luglio 2008

Crosettismi olimpici.



Maurizio Crosetti, che si candida come inviato a Pechino, oggi scrive un pezzo sulle Olimpiadi cinesi e così conclude il pezzo:

"Infine, un' indiscrezione di cui avremmo fatto a meno: dopo i Giochi, il nuotatore Filippo Magnini sarà l' inviato sull' Isola dei Famosi tra Vladimir Luxuria, Massimo Ciavarro e il povero Antonio Cabrini. A dimostrazione che, a volte, tra nuotare da dio e restare tristemente a galla c' è ben poca differenza."

Qui il pezzo completo.

lunedì 28 luglio 2008

Cappellate Collection.



Era dei tempi di Faletti a Drive In che non sentivo parlare della "telefona". L'abbiamo rivisto oggi in un pezzo su Steve Jobs: "Ha riposto alla telefona", c'è scritto. Refuso, si, certo. Come quello che ha fatto l'altro giorno Natalia Aspesi scrivendo "accellerare" con due L, come i miei compagni delle elementari più somari.




Ed era un refuso, certo, quel "Burt" Simpson che la Aspesi cita nello stesso pezzo, come fanno quelli che hanno sentito parlare dei Simpson ma non li hanno mai visti.




In compenso nel pezzo su Steve Jobs ci sono due vangate al prezzo di una. Nella stessa frase si dice che Jobs negli anni Novanta era andato via da Apple per creare nuovi progetti come la Pixar. Senonchè da Apple Jobs era stato cacciato dal management che lui stesso aveva chiamato (e che poi era stato a sua volta mandato via dagli azionisti, che hanno scongiurato Steve di tornare). E Pixar era stato fondato da John Lassiter (che ne è ancora il capo) insieme a George Lucas, da cui Jobs l'aveva poi comperata.

Fabio P.

sabato 26 luglio 2008

Cercasi veri feticisti che ci diano una mano.



La redazione di Pazzo Per Repubblica cerca collaboratori che diano una mano a migliorare il blog e a farlo crescere.

Se sei un vero feticista del giornale di Scalfari, aiutaci a scovare gli errori, i refusi, le cappelle. Segnalaci i pezzi che vale la pena di leggere e quelli da evitare. O se semplicemente ti va di dire la tua su questo quotidiano che divide l'Italia tra chi lo ama e chi lo odia.
Noi non abbiamo tempo di leggere tutto. E di roba da leggere ce n'è ogni giorno di più, e di notte, a volte, dormiamo anche.

Se sei interessato, scrivimi. Basta cliccare sotto la testata del blog, dove c'è scritto SCRIVETE A PAZZO PER REPUBBLICA.

Si accettano anche contributi da giornalisti di Repubblica in incognito.

Ovviamente non c'è una lira. Lo si fa solo per passione.

"Il tranquillo paese della Valeriana". Il simpatico refuso di Giuliana Ubbiali.



La bergamasca Giuliana Ubbiali era già stata, mesi fa, una delle beniamine di questo blog.

Oggi è tornata alla grande raccontandoci il giallo di Vertova, nelle valli bergamasche dove è stata sgozzata Maria Grazia Pezzoli, moglie di un imprenditore della zona.

Curioso però il refuso in cui è incappata la Ubbiali che a un certo punto scrive: " La vicenda ha naturalmente sconvolto il paese della Valeriana". Ovviamente Giuliana intendeva dire Valseriana, una delle valli bergamasche, ma il refuso involontario fa diventare questa zona un luogo molto tranquillo. Così tranquillo che l'assassinio ha decisamente sconvolto la calma quotidiana.

Umberto Rosso e Sebastiano Messina: quei due cattivi rifondaroli.



Addirittura due gli inviati al VII Congresso di Rifondazione Comunista a Chianciano Terme.

Qui il pezzo di Umberto Rosso.

E qui quello di Sebastiano Messina.

Paolo Griseri contaminato.



Paolo Griseri si è sacrificato per la causa di Repubblica ed è andato nei pressi di Tricastin (a Bollene per l'esattezza) a scrivere sulla fuga radioattiva dalla centrale nucleare.

E Martinotti sta a Parigi al calduccio.

Qui il pezzo di Griseri da Bollene.

Mario Calabresi promosso "barackiere" di fiducia.



Dopo gli anni del "bushiere di fiducia" Alberto Flores D'Arcais, ecco che spunta all'orizzonte la figura del "barackiere di fiducia".

E' Mario Calabresi, che sta seguendo come un'ombra il candidato democratico alla Casa Bianca Barack Obama, in tour elettorale in Europa.

venerdì 25 luglio 2008

17 luglio 2007: Srebrenica dodici anni dopo.



Riproponiamo il reportage di Predrag Matvejevic apparso su Repubblica del 17 luglio del 2007 in occasione del dodicesimo anniversario dell'eccidio degli ottomila musulmani bosniaci a Srebrenica.

Il pezzo integrale lo trovate qui.

Michele Serra su Karadzic.



Splendida "l'amaca" di oggi di Michele Serra su Radovan Karadzic.

La trovate qui.

Vi riportiamo però la frase finale. Merita di essere letta almena una volta al dì per i prossimi tre mesi.

"Certo se Karadzic, invece che alla Grande Bosnia, si fosse dedicato alla medicina quantistica fin da giovane, ci sarebbero molti pazienti infinocchiati in più, ma molti morti di meno."

giovedì 24 luglio 2008

La doppia vita di Giampiero Martinotti: in una pagina inviato, in quella dopo corrispondente.



Numero odierno di Repubblica: in prima pagina si parla della fuga di materiali radioattivi dalla centrale nucleare francese di Tricastin. C'è un pezzo preceduto dalla firma di chi l'ha scritto: dal nostro inviato a Parigi Giampiero Martinotti (a sinistra nella foto). Qui in redazione ci siamo guardati in faccia pensando tutti la stessa cosa: ma Martinotti sono anni che fa il corrispondente da Parigi, che senso ha scrivere inviato? E poi il fatto non è mica accaduto a Parigi. Un conto se fosse stato dal nostro inviato a Tricastin, ma così non ha senso.

E infatti, nella pagina dopo, (cioè la 2) troviamo il seguito del pezzo di Martinotti con in testa la dicitura dal nostro corrispondente a Parigi Giampiero Martinotti (a destra nella foto).

Adesso ci è sembrato tutto più chiaro, più cristallino.

Evidentemente Mauro e soci si sono voluti far belli facendo passare un decennale corrispondente per un inviato sul luogo dell'accaduto.

Avrà mai sentito, il dottor Karadzic, l'urlo delle vittime di Srebrenica?

Nel bellissimo pezzo di Renato Caprile da Belgrado su Repubblica di oggi, c'è la frase finale che ci ha particolarmente colpito:

"Chissà come continuava le sue serate, se era in contatto con la famiglia, con gli amici. Una rete di protezione, secondo quanto hanno raccontato gli inquirenti, certamente l'aveva. Ed è stato proprio il pedinamento dei suoi angeli custodi a rendere possibile la sua cattura. Tra i tanti misteri di questa storia ce n'è uno però più grande degli altri. Avrà mai sentito, il dottor Karadzic-Dabic, nel silenzio assoluto di cui blaterava nelle sue affollate conferenze, l'urlo delle vittime di Srebrenica?"

Quindi ci chiediamo tutti: lo avrà mai sentito quell'urlo Radovan Karadzic?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?



lo avrà mai sentito?

Francesco Merlo e la sedia elettrica che costa un euro.

Ha avuto particolare risonanza sui blog la notizia dell'esistenza di una assurda attrazione presso il luna park Idrsocalo di Milano. Si tratta di una sedia elettrica con un manichino di plastica che con un euro si aziona e fulmina il pupazzo sotto gli occhi di tutti.

Repubblica ne ha parlato oggi in prima pagina con un commento di Francesco Merlo, che potete leggere qui.

Noi siamo andati a curiosare sul sito dell'azienda americana che produce l'attrazione: la Distortions.

Qui sotto il filmato presente sul sito



e qui il filmato girato da un ragazzo al luna park dove è installata l'attrazione

mercoledì 23 luglio 2008

Fassino querela Repubblica: psicodramma a sinistra.



Segnaliamo un intervento di Massimo Coppa sul suo blog a proposito del caso Tavaroli-Repubblica:

Nel PD ed a “Repubblica” vogliono continuare a farsi del male, dimentichi di far parte della stessa famiglia politico-giornalistica.

Piero Fassino non ci sta ad apparire sul giornale di cordata quale detentore di un fondo segreto estero: affermazioni fatte dal “gran spione degli spioni” Tavaroli e riportate in un doppio servizio confezionato da Giuseppe D’Avanzo con l’intento apparente di far capire agli italiani che non è vero che Tronchetti Provera possa considerarsi innocente come un puttino nella vicenda dei servizi deviati di Telecom: una struttura interna, segreta, che ha spiato, intercettato e confezionato dossier su mezzo mondo, tutto illecitamente (vedi post precedente a questo).

Oggi, su “Repubblica”, appare una durissima lettera di Fassino (che si può leggere QUI), nella quale l’ex segretario diessino risponde ai dubbi che avevamo espresso un post fa: il giornale diretto da Ezio Mauro sarà querelato. D’Avanzo sarà querelato per aver scritto l’articolo ed il direttore sarà perseguito, ovviamente, per omesso controllo. Naturalmente è stato querelato anche Tavaroli.

Mentre si nota l’assordante ed imbarazzato (?) silenzio del direttore di “Repubblica”, sempre oggi D’Avanzo deve scrivere una specie di compitino nel quale è costretto a difendersi, spiegando che non c’è nessun intento persecutorio o diffamatorio verso Fassino o chicchessia, ma che dovere di un giornalismo onesto e coscienzioso è quello di indagare, spiegare, denunciare e bla bla. Tutti concetti giustissimi, per carità: fa impressione ed amareggia constatare che bisogna ancora spiegarli, nell’Italia del ventunesimo secolo.

D’Avanzo rispiega anche che non è vero che “tutto va bene, madama la marchesa”: la vicenda dello spionaggio targato Telecom è grave, checché ne dica qualcuno (pur senza nominarlo, si riferisce certamente al “Corriere della Sera”, di cui Tronchetti è azionista). Il marito di Afef è quantomeno responsabile di omissione di vigilanza e di responsabilità colposa, visto che non si è accorto della “Spectre” che andava formandosi in azienda. L’articolo è leggibile QUI.

La verità giudiziaria è, apparentemente, che il vertice di Telecom nulla sapesse. E’ credibile? Penso di no, ma bisogna arrendersi alle risultanze delle indagini. E tuttavia “Repubblica” giustamente nota che le cose non sono così semplici.

Massimo Coppa

Il botta e risposta Fassino-D'Avanzo sul caso Tavaroli.



A proposito dell'intervista-confessione di Giuliano Tavaroli apparsa in due puntate su Repubblica,

qui trovate la reazione incazzata di Fassino

e qui la risposta immediata di D'Avanzo.

Luca vs Valerio.

Continua la simpatica battaglia personale del fedelissimo lettore di questo blog, Luca DC, contro il giornalista di repubblica.it Valerio Gualerzi.

Ecco l'ultimo messaggio che mi è arivato:

"Su Repubblica.it di oggi rileggo con piacere un pezzo del grande Valerio Gualerzi, scomparso per qualche giornata. Oggi "il nostro" si occupa addirittura di privatizzazione di parchi, quindi bisogna aggiornare il "carniere". Ad oggi il buon Valerio ha trattato: 1)europei 2008 dal ritiro dell'Italia 2)Legge Elettorale e retroscena 3)Vita di Del Turco 4)Privatizzazione dei Parchi. Insisto : se tutte queste responsabilità deve prenderle il PRECARIO VALERIO, voglio Giannini a curare le manovre di mercato del Milan, Caprile alla Camera dei Deputati e Rampini ai Mondiali di Ciclismo di Varese...Ke diamine!"

Luca DC

L'arresto di Radovan Karadzic. Domani in prima quello che pensavamo apparisse oggi.



Per la prima di domani, confermiamo quanto pensavamo avvenisse oggi in prima pagina.

E cioè che:

Renato Caprile gode come un riccio: domani la prima pagina è sua. E/o di Valli. E/o di Viola. E/o di Rampoldi.

L'intervista di D'Avanzo a Tavaroli sull'affaire Telecom (seconda e ultima parte).



Pubblichiamo per intero la seconda parte del dossier di Giuseppe D'Avanzo sulle confessioni di Giuliano Tavorali sull'affaire Telecom, apparso su Repubblica di oggi (foto).

Tavaroli: i miei dossier segreti per Tronchetti
di GIUSEPPE D´AVANZO - 22-07-2008

Giuliano Tavaroli dice: «Quando Pirelli acquisisce Telecom Italia, agosto 2001, Marco Tronchetti Provera mi annuncia: "Lei verrà con me a Roma". Poi mi chiama Carlo Buora. Lo incontro a Milano in trasferimento dalla montagna al mare – ero in vacanza con i miei – e quello mi dice che non se ne fa più nulla. Mi spiega: "Contrordine, lei resterà in Pirelli, Enrico Bondi (all´epoca, amministratore delegato) vuole con sé in Telecom un altro. Naturalmente ne parlo con Tronchetti Provera che mi rassicura: "Lei si occuperà delle mie cose romane". Le sue "cose romane" erano i suoi guai romani. E c´erano guai dappertutto, in quel momento».«Gasparri (il ministro delle Telecomunicazioni) non gli piaceva e Tronchetti non piaceva a Gasparri. In estate, al festival dell´Unità di Rimini, Massimo D´Alema lo attacca a testa bassa… Ho già detto che una concezione moderna della sicurezza (che è reputazione, soprattutto) deve fronteggiare anche – o soprattutto – quella roba lì, gli attacchi politici, le ostilità di parte, i pregiudizi, i veleni. Deve saper leggere e anticipare le iniziative avverse, condizionare le mosse dei rivali o ridurli al silenzio. E´ un lavoro che si nutre di conoscenza. Conoscenza dell´avversario, delle sue ragioni più autentiche e nascoste, ma è anche "sapere" e dunque capacità di adattarsi a quella "emergenza" o sventandola o ridimensionandola. In gergo, le chiamiamo "analisi del rischio" e "analisi di scenario". In quell´avvio di gestione della Telecom, ne avevamo bisogno come dell´aria. Il momento intorno a noi era sconfortante. Non c´era stato soltanto l´11 settembre, c´erano ancora le macerie dello sgonfiamento della bolla speculativa, la catastrofe dei bond argentini». (Tavaroli qui svela – e nemmeno troppo velatamente – il lavoro di spionaggio a cui, sostiene, «nessuna azienda rinuncia». Lo riduce a raccolta di informazioni, a "mappatura" – diciamo così – dei caratteri, delle opinioni, delle forze e delle debolezze dei potenti, vecchi e nuovi, che, di volta in volta, Tronchetti deve fronteggiare, rassicurare, tenere alla larga. La "conoscenza", come la definisce, è soltanto il punto di partenza del suo lavoro. Per questi giocatori, per questo gioco, è la mossa d´apertura, il livello minimo richiesto per poter entrare in campo. La differenza vera la fa il "sapere", la combinazione di competenze multiple che rende possibili scambi, pratiche, compatibili assunzioni di rischi, la creazione di qualche minacciosa favola da diffondere. Tavaroli adopera un altro vocabolario, un´altra sintassi. Parla di «analisi delle forze in campo», di «amici/nemici» ma, in soldoni, non è che l´esito sia diverso. Sempre di spionaggio si parla. La scena pare questa. Marco Tronchetti Provera, arrivato in Telecom, è consapevole di essere uno "straniero" nella geografia del potere. Le leve del comando – i primi governi Berlusconi hanno un peso politico debole, frammentato, privi di una strategia di lungo periodo, stretti intorno a un uomo solo interessato esclusivamente al proprio destino personale e imprenditoriale – sono custodite e sostenute da uno schema "antico" che Tavaroli, come ambasciatore di Tronchetti, ha incontrato nel giro delle sette chiese romane. «Un network eversivo», lo definisce. Ne indica qualche nome: Letta, Bisignani, Cossiga, Scaroni, Elia Valori, Pollari, Speciale, Corigliano. E´ un´area di potere che costringe un estraneo come Tronchetti in un disequilibrio informativo che lo condanna a subire, sopportare; a essere condizionato. Essere consapevoli di quell´asimmetricità è il punto di partenza. Sapere è allora il terreno della risposta. Come affrontare l´avversario? Come rendergli conveniente venire a patti o rinunciare a ogni ostilità? Come guadagnare un margine di inviolabilità? E´ un confronto sotterraneo e senza esclusione di colpi. A sentire Tavaroli – che va ripetuto non è un testimone neutro, ma il principale indagato dell´affaire – è questo il mestiere che Marco Tronchetti Provera gli affida). «Di volta in volta bisogna adattare le proprie iniziative all´avversario. D´Alema, per esempio. Penso di contattare Lucia Annunziata, allora direttore dell´agenzia Apcom. Ha buoni rapporti con D´Alema. Scelgo lei come canale per entrare in contatto con il presidente dei Ds. Con Lucia si parla anche di futuro. Lei mi prospetta l´acquisizione dell´agenzia, me ne mostra i vantaggi e le opportunità. Non era una cattiva idea, in fondo. Non avevamo in pancia contenuti e ne avevamo bisogno. Peraltro, saremmo entrati in contatto con il mondo Associated Press, il meglio. L´affare poi si fece, come si sa. Comunque, l´incontro D´Alema/Tronchetti si organizzò e Lucia divenne consulente della Telecom. Racconto un altro episodio dello stesso tipo. Un giorno mi chiama Buora. Nel suo ufficio ci sono tutti quelli che contano e sembrano sull´orlo di una crisi di nervi. Buora mi dice che Giulio Tremonti (ministro dell´Economia), soffia ai banchieri, in ogni occasione, che Telecom è prossima al fallimento. La voce diffusa in ambienti qualificati da una fonte così autorevole è per noi una sciagura. Mi metto al lavoro. Tra Tremonti e Tronchetti non ci sono rapporti. Ho come la sensazione che Tremonti, da sempre consulente dei maggiori imprenditori italiani, diventato ministro, stia scaricando sui suoi antichi assistiti una ruggine velenosa. Decido di mettermi in contatto con il capo della sua segreteria, un ufficiale della Guardia di Finanza, Marco Milanese, che poi lascerà le Fiamme Gialle per lavorare direttamente nello studio di Tremonti. Contattare Milanese, proprio lui e non altri, è un modo per dire a Tremonti: conosco i tuoi metodi, conosco il tuo sistema, chi lo agisce e interpreta, da dove possono venirti le informazioni – vere o false – che possono danneggiare la mia azienda. Non c´è bisogno di molte parole. Quelle cose lì, si capiscono al volo nel nostro mondo. I due – Tronchetti e Tremonti – si incontrano. I problemi si risolvono. Nessuno parlerà più di fallimento con i banchieri. Altro episodio. Il Dottore (Tronchetti) mi chiede di dare uno sguardo a Finsiel, allora amministrata da suo cugino Nino Tronchetti Provera. Perché non si vince una gara, perché si perde sempre? Gli appronto una rete di relazioni e qualche "analisi". Ancora. La Kroll, la maggiore agenzia d´investigazione del mondo, riceve da Gianni Letta (sottosegretario alla presidenza del Consiglio) l´incarico di rintracciare il tesoro segreto di Calisto Tanzi (Parmalat). Nell´autunno del 2004, l´uomo in Italia della Kroll, un belga d´origine italiana che si chiama Nunzio Rizzi, incontra Gianni Letta e gli chiede "se il governo ha nulla in contrario che l´agenzia organizzi un´azione di discredito contro Marco Tronchetti Provera". Sorprendentemente, invece di metterlo alla porta, Letta (ha anche la delega ai servizi segreti) prende tempo: "Le farò sapere!". Letta avverte Tronchetti. Che, allarmatissimo, mi spedisce a Roma in tutta fretta. E´ il mio primo incontro con Gianni Letta. Mi tiene lì per quaranta minuti. Beviamo un caffè. Mi dice: noi abbiamo un amico in comune, "il nostro Marco" (Mancini). Letta mi spiega le intenzioni di Rizzi. Organizzo una contro-operazione di discredito ai danni della Kroll. Il 6 novembre 2004, faccio pubblicare che c´è "un mandato d´arresto per l´uomo della Kroll, Nunzio Rizzi". La notizia è del tutto falsa, ma alla Kroll capiscono che gli è andata male. E noi, in Telecom, capiamo il senso di quella storia: hanno mandato a dire a Tronchetti che non si fidano di lui, che la sua reputazione può essere sporcata se gli ambienti politici non fanno barriera e quindi è meglio andare d´accordo». (Tavaroli chiarisce che dal suo orizzonte di lavoro – e intende la rete di rapporti e liaison che possono rendere trasparenti o protette le intenzioni di Tronchetti – nessuno è escluso. Nemmeno la magistratura). «Era più o meno il settembre del 2001. Mi chiama Armando Spataro, allora membro del Consiglio superiore della magistratura. Mi dice: "Il tuo capo ha risolto i problemi di Berlusconi". Era accaduto che Pirelli Real Estate avesse rilevato Edilnord di Berlusconi che navigava in cattive acque. Per Pirelli era un affare, per Spataro un favore. Nel 2003 Armando ritorna a Milano come procuratore aggiunto. Ho l´idea di farlo incontrare con Tronchetti. Organizzo il meeting. Ma, quel giorno, commetto un errore grave. Invece di andare via, come facevo sempre, rimango nella stanza e sono testimone della loro conversazione. Che non va per nulla bene. Quasi al termine, Tronchetti chiarisce che magistratura e politica devono reciprocamente rispettarsi e che il lavoro dei giudici non può pregiudicare le responsabilità della politica. E´ più o meno una banalità, ma detta in quel momento suonò alle orecchie di Armando come una difesa pregiudiziale di Berlusconi e una censura per le iniziative della magistratura. Spataro ne ricava la convinzione di avere di fronte un uomo piegato agli interessi di Berlusconi. Nessuno gli ha tolto più quell´idea dalla testa. Questo era il mio lavoro: creare una rete di protezione personale intorno a Tronchetti e di sicurezza per l´azienda, rimuovere le inimicizie preconcette, le ostilità, il malanimo, le presunte incompatibilità. Non è sempre affare per deboli di stomaco. Ecco che cosa intendo quando dico che il perimetro della security si era di molto allargato. Ecco che cosa intendeva Marco Tronchetti Provera quando mi diceva: "Le abbiamo chiesto troppo". Se avevo bisogno di informazioni sugli antagonisti mi rivolgevo a Emanuele Cipriani (investigatore privato della Polis d´Istinto). Che me le procurava. Sono pronto ad ammettere che ci sono state – ma questi sono affari di Cipriani – indagini illegali. Ammetto che bisognerà spiegare le intrusioni informatiche ai danni di Massimo Mucchetti e Vittorio Colao (vicedirettore del Corriere e amministratore delegato di Rcs). Ma non ci sono state intercettazioni abusive né ricatti. Nell´indagine della procura di Milano, non ce n´è traccia. Il mio lavoro non si è mai arricchito di quella roba lì. Le cose andavano così. Fino a quando sono stato in Pirelli, sono stato più o meno un "centro di servizi". Tronchetti Provera, da Telecom, aveva bisogno di informazioni. Mi chiamava e io provvedevo a raccoglierle. Nessuno si dovrebbe meravigliare. Le aziende vivono di informazioni fino alla raffinatezza delle "analisi predittive". E non esitano a sporcarsi le mani. Un esempio? Per quel che so, l´"Operazione Quattro Gatti", lo sganciamento di Mastella dal centro-destra organizzato nel 1998 da Cossiga, fu finanziato per intero dai gestori della telefonia: Sentinelli (Tim), Novari (3), Pompei (Wind), con il sostegno della Ericsson. Quando arrivo in Telecom, il lavoro cambia. Agisco "di iniziativa" sulle analisi tipiche della sicurezza. Attenzione, però, il "sistema Tavaroli" non era e non è mai stato il "sistema Cipriani"». (Tavaroli non ammette che l´uno integrava l´altro, che l´uno sosteneva l´altro e mai parla del ruolo di Marco Mancini, il capo del controspionaggio. Lo ripetiamo ancora: questa è soltanto la verità di un indagato). «E´ a questo punto che arrivano i primi segnali dal "network eversivo". Si fanno sotto quelli che io chiamo "i massoni". Cominciano a scorgere, avvertendole come una minaccia, tutte le potenzialità di quel lavoro, della mia presenza a Telecom, del mio legame con Marco Mancini in ascesa nel Sismi, delle opportunità di integrazione in un unico "nastro" delle informazioni in possesso per motivi istituzionali di una grande azienda di telecomunicazioni e di un servizio segreto. Lo avevate capito anche voi a Repubblica, ma immaginavate che Telecom fosse il centro del "sistema" e non solo un segmento, il più fragile. Arriva il primo segnale e non faccio fatica a "leggerlo". Le manovre compromettenti (è sospettato di essere coinvolto in un traffico d´armi) di Slaedine Jnifen, fratello di Afef (la moglie di Tronchetti) con uno dei figli di Gheddafi mi sono segnalate prima da Nicolò Pollari. Mi dice: i servizi libici minacciano di ucciderlo. Poi da Luigi Bisignani che aveva avuto l´informazione dalla Guardia di Finanza. Capii la musica. Anche Afef parve a rischio». (Tavaroli non dice né vuole dire se il dossier raccolto anche sulla moglie di Tronchetti sia stato una sua personale iniziativa o un´operazione commissionata da altri o addirittura concordata con il presidente della Telecom). «E´ un fatto che Afef si porta dietro tutte le amicizie romane del primo marito, Marco Squatriti (Andreotti, Bisignani, Letta). Ricordo che, quando Squatriti finisce in carcere, il primo che gli va a fare visita, come avvocato anche se non era il suo avvocato, è Cesare Previti. L´uomo deve essere finito al centro di una faccenda molto seria. Perché nessuno s´incuriosisce al finale della storia di Italsanità (era la società dell´Iri che aveva affittato dai privati 28 immobili da destinare a residenze per anziani, impegnandosi a pagare affitti per 1.000 miliardi in nove anni, di cui 572 a Squatriti, titolare degli 11 contratti più consistenti)? Sono stati rimborsati a Squatriti un centinaio di miliardi di lire. Oggi Squatriti non ha più un soldo. Dove sono finiti i denari? E, soprattutto, di chi erano? Forse per tenersi buono questo giro, il Dottore ingaggia Maurizio Costanzo (P2, tessera Roma 152), tutt´uno con Previti, Squatriti, Gianfranco Rossi (il faccendiere romano, arrestato nel giugno 1994, è l´intestatario del conto corrente "coperto" FF 2927 presso la Trade Development Bank di Ginevra, conto sul quale sono affluiti 2 milioni e 200 mila dollari fornitigli da Bisignani e parte della maxitangente pagata dall´Enimont ai partiti di governo), Luigi Bisignani (P2, tessera Roma 203). Tronchetti retribuisce Costanzo con 3 milioni di euro all´anno soltanto, in definitiva, per costruire l´immagine di Afef. Ma, in realtà, Tronchetti vuole tenerlo buono e, nel contempo, alla larga. Costanzo non aveva nemmeno il numero diretto del suo cellulare. Si ripetono i segnali negativi. Salvatore Cirafici, capo della sicurezza di Wind, un massone, mi racconta che è stato interpellato da un giornalista del Giornale che sta preparando un articolo contro di me, ispirato da Luigi Bisignani. Che ci fossero fibrillazioni in corso, lo deduco anche da altri episodi. Poco dopo il Natale del 2002, diciamo nel gennaio del 2003, Berlusconi convoca Pollari a Palazzo Chigi e gli chiede a brutto muso: "Chi è questo Tavaroli?", "E´ vero che Mancini è un comunista"? Pollari replica, difende Mancini e comunica che sta per nominarlo capo della 1° Divisione. Berlusconi abbozza. Non poteva dire di no a Pollari. Come non glielo ha potuto dire poi, con il governo successivo, Romano Prodi, che ha sempre difeso il direttore del Sismi. La faccio breve, nel 2004 fonti della Guardia di Finanza fanno sapere in Telecom che "Tavaroli, da punto di forza, è diventato un punto di debolezza". A maggio mi convoca Tronchetti e, alla presenza di Buora, mi consiglia di accettare una aspettativa di tre mesi per far calare il polverone su di me e la società. Accetto, non ho alternative. Per tre mesi, il telefono si fa muto. Non mi chiama più nessuno, se si esclude Adamo Bove (il dirigente della security governance della Telecom precipitato il 21 luglio 2006 da un cavalcavia della tangenziale di Napoli: suicidio o istigazione al suicidio?). Vado in Romania. Mi richiamano in Italia dopo l´attentato al Tube di Londra del 7 luglio 2005. Tronchetti chiede a Letta se può darmi una consulenza antiterrorismo. Letta si dice d´accordo "nell´interesse del Paese". A fine anno, il Dottore mi dice: devi rientrare. Nel gennaio 2006, quando sono pronto a rientrare, Cipriani si fa abbindolare dai carabinieri di Firenze che non hanno mai smesso di blandirlo: "Vuota il sacco e le tue responsabilità saranno ridotte al minimo…". Quello ci casca e trovano il dvd con i file illegali, peraltro già in possesso di Emilio Ricci, avvocato, romano, comunista, amico mio, di Pollari, di D´Alema. Cipriani consegna la password ai pm. In tempo reale la notizia arriva a Tronchetti – penso attraverso l´avvocato Mucciarelli. Il Dottore mi convoca. Mi dice: hanno il dvd; l´hanno aperto; lei non può più tornare in azienda. Io mi mostro preoccupato. Gli dico: su quel dvd ci sono i file di Brancher, e di Cesa, e la faccenda di D´Alema e dell´Oak Fund. Inizialmente, Tronchetti finge di non ricordare. "D´Alema? – dice – e che c´entra, io non so nulla…". Poi, qualche giorno dopo, gli torna la memoria e ammetterà che era stato lui a commissionarmi quel lavoro per verificare se, nell´acquisizione di Colaninno, fossero state pagate tangenti. Qualche mese dopo, in maggio, Tronchetti alla presenza del solito Buora mi chiede le dimissioni. Fu un lavoraccio, l´inchiesta "Oak Fund". Per quel che poi ha scritto Cipriani nel dossier chiamato "Baffino", ora nelle mani della procura di Milano, i soldi hanno viaggiato nella pancia di trecento società in giro per l´Europa per poi approdare a Londra nel conto dell´Oak Fund, a cui erano interessati i fratelli Magnoni (Giorgio, Aldo e Ruggiero, vicepresidente della Lehman Brothers Europe) e dove avevano la firma Nicola Rossi e Piero Fassino. Queste cose le ho dette anche ai pm che mi hanno interrogato. Loro mi dicevano: non scriviamo i nomi nel verbale, diciamo "esponenti politici…". Formalmente perché è necessario attendere la sentenza della Corte Costituzionale per sapere se quei dossier raccolti illegalmente sono utilizzabili nel giudizio. Ma, dico io, se mi prendi a verbale non hai più bisogno della Corte Costituzionale, hai il mio verbale che contiene la notizia di reato. E allora? Sono assolutamente convinto che Tronchetti sapesse in tempo reale quali fossero le intenzioni e le mosse della procura. Credo che egli abbia lasciato esplodere il "caso Rovati" al solo scopo di anticipare il governo e trovare una dignitosa e sdegnata via d´uscita. Con quel che sarebbe successo di lì a un paio di mesi, il governo avrebbe potuto dirgli: non hai l´autorità né la credibilità per governare le reti. Ora Tronchetti Provera lascia dire e scrivere che sono stati Romano Prodi, Giovanni Bazoli e Guido Rossi a sottrargli la Telecom senza dire una parola su quel network di potere, eversivo che io, nel suo interesse e su sua richiesta, ho fronteggiato e da cui sono stato distrutto; quell´area di potere che decide le nomine che contano, che in apparenza non chiede e, invece, ordina con messaggi traversi che è bene cogliere al volo per non dare l´idea che la si stia sfidando. Genio dell´opportunismo qual è, Tronchetti vuole ritornare sulla scena forte della liquidità incassata in uscita dalla Telecom, candido e senza un´ombra. Solo io dovrei pagarne il prezzo, ma gli è capitato il peggiore cliente possibile. Non ho nulla da perdere. Mi hanno già tolto tutto. Devo soltanto dimostrare ai miei cinque figli che il loro papà non è il mascalzone che raccontano, che il loro papà ha concesso soltanto fiducia a chi non la meritava. Per questo ripeto: non accetterò mai di essere il capro espiatorio di questo affare». (2.Fine)

Fonte: La Repubblica

martedì 22 luglio 2008

Bosnia, arrestato Karadzic. Caprile gode come un riccio.



Hanno arrestato Radovan Karadzic. Renato Caprile gode come un riccio: domani la prima pagina è sua. E/o di Valli. E/o di Viola. E/o di Rampoldi.

Hey, c'è Obama a Kabul! E chissenefrega, traduciamo la Logan.



Mastrogiacomo ormai fa solo pezzi di cronaca nera. Caprile è nella ex-jugoslavia. Valli se la gode a Parigi.

Ecco il motivo per cui nessuno si è filato il viaggio di Barack Obama in Afghanistan (foto sopra).

E' bastato tradurre il pezzo di Lara Logan (foto sotto) uscito su Cbs News.

Francesismi (i Murales dal Tour).



Scrive Mura da Prato Nevoso:

"Erano cinque in un minuto, adesso sono sei in cinquanta secondi. I numeri restano piccoli, nessuna bufera: è come rimescolare una tazzina di caffé."

L'inchiestona di D'Avanzo su Tavaroli e Tronchetti Provera.

Vale la pena di leggerla. Qui.

lunedì 21 luglio 2008

Scalfari nel suo domenicale cazzotta prima Berlusconi e poi Tremonti.



Questo il cazzotto a Berlusconi:

"Ma il culmine del disastro è avvenuto nel biennio prodiano e il centrosinistra ne porta la responsabilità. Berlusconi da quel grande comunicatore che è l'ha capito al volo, ci ha impostato la campagna elettorale e poi i primi atti del suo governo. Dopo due mesi ha risolto il problema. Non era poi così difficile ma segna la linea di confine tra chi privilegia il fare sul mediare, tra chi ha carisma e chi non ce l'ha.

Dopodiché Berlusconi resta quello che è, un venditore al quale il successo ha dato alla testa, un egocentrico, un populista, un demagogo. Ma se non gli riconosciamo i pochi meriti che ha e soprattutto i demeriti dei suoi avversari su questo specifico tema diventa difficile criticarlo come merita di esserlo e con la durezza che la situazione richiede".




E questo quello a Tremonti:

"Scusatemi se torno su Tremonti ma il personaggio merita attenzione.
Dice che quella che stiamo attraversando è la crisi internazionale più grave dal 1929 e forse peggio di allora. Dice che fu il solo ad averlo capito fin dal giugno 2007. Veramente in quegli stessi giorni lo scrisse anche Stiglitz, premio Nobel per l'economia, lo scrisse anche Nouriel Roubini, docente alla New York University e, assai più modestamente, anche il sottoscritto.

Comunque Tremonti capì e me ne rallegrai a suo tempo con lui. Ma visto che aveva capito, sapeva fin da allora che soldi da buttar via non ci sarebbero stati. Perciò avrebbe dovuto fermare la mano di Berlusconi quando promise in campagna elettorale l'abolizione dell'Ici e l'effettuò nel suo primo Consiglio dei ministri. Avrebbe risparmiato 4 miliardi di euro, un vero tesoretto da destinare alla detassazione dei salari. Invece non l'ha fatto.

Quattro miliardi buttati al vento. Non va bene, onorevole Tremonti. So che lei ha in mente di utilizzare la Cassa depositi e prestiti, il risparmio postale e le Fondazioni bancarie per finanziare le infrastrutture. E' un progetto ardito, soprattutto ardito usare il risparmio postale."


Qui potete leggere la versione integrale del domenicale di Scalfari