martedì 29 aprile 2008

Mura, Donadoni e la "bassa".



Non per fare i pignoli. Ma Gianni Mura intervista Donadoni, e nella bellissima intervista gli fa dire che il suo paese Cisano Bergamasco, nonostante le colline che lo circondano e il fatto che sia "a 18 chilometri da Lecco", si trova "nella Bassa".

Un'occhiata alla cartina no?

Fabio P.

Il nuovo archivio di Repubblica.it ha la benedizione di Wittgenstein.

Leggiamo su wittgenstein.it:

A una prima occhiata la ricerca nell'archivio di Repubblica.it - gratuita e aperta a tutti da oggi - sembra funzionare bene. La visualizzazione degli articoli è invece un po' arruffata, con una precipitosa successione del testo e dei suoi accessori. Ma intanto bene, bravi.

Quindi, Luca Sofri approva.

lunedì 28 aprile 2008

Amarcord: il pezzo di Gianni Brera che anticipa lo scudetto dell'Inter di Trapattoni.



Grazie al nuovo servizio di ricerca degli articoli offerto dal sito repubblica.it, inauguriamo questa nuova rubrica chiamata "amarcord" che ripropone alcuni tra gli articoli più belli e interessanti pubblicati su La Repubblica.

Iniziamo con un pezzo di Gianni Brera del 2 aprile 1989 che annuncia l'imminente scudetto dell'Inter di Trapattoni.

PRENDI LO SCUDETTO SORELLA INTER di Gianni Brera

Mi accingo a scrivere la presentazione della XXIII giornata (sesta del ritorno) con lo smarrimento di un ragazzino al quale, tenuto a compitare come il solito, abbiano impensatamente sottratto la tavola pitagorica. Infatti, gli eventi ritenuti più importanti sono già accaduti: la prima partita in gerarchia (Napoli-Juventus, 34 più 26 uguale a 60) è stata clamorosamente vinta dalla Juventus, e la seconda (Atalanta-Milan: 25 più 28 uguale a 53) è stata vinta, un po' meno clamorosamente, dal Milan campione d' Italia. Il commento a queste partitissime verrà tenuto dai colleghi inviati a Napoli e Bergamo. A me, sprovveduto aritmetico, tocca subito di dedurre che al momento attuale la beneamata Inter di Milano vanta qualcosa come sei punti di vantaggio sul Napoli, suo ultimo (?) serio contendente. Comunque le vada oggi ricevendo il Como, potrà sempre disporre dei quattro punti che vantava prima che il Napoli perdesse con la Juve. Questa stessa ipotesi è vaga, però non inutile, a testimoniare che un campionato di 34 giornate non può mai dirsi concluso alla XXIII. Giovannino Mura mi ha telefonato dal San Paolo come dire? percosso da un cupo silenzio. Ha subito aggiunto che la Juventus ha avuto in Laudrup il migliore della sua ambigua annata, e in Buso un ragazzino capace di confondere Ferrara come e più della malerbetta ala destra rumena. Lo stesso Zavarov, senza incantare, ha mandato Buso in gol per la seconda volta. La mancanza di Maradona e Romano ha molto facilitato le cose alla Juventus. Evidentemente il Napoli avvertiva già il Bayern sulla propria pelle. La gente sentiva da qualche tempo che seguitare a pensare possibile la conquista dello scudetto non era cosa. I napoletani hanno molti pregi, anche quello di saper sognare se vogliono, però la bella favola del Campionato era in procinto di svanire ed essi lo notavano ad occhi aperti. Oggi gli resta l' Uefa, sapendo bene una cosa: che senza Maradona la squadra di Bianchi non può mai attingere il genio. La difesa è abbastanza squinternata e poco le giova un centrocampo fondato sul solo podismo. I cannoni di attacco vanno serviti, esattamente come qualsiasi pezzo in batteria. La Juventus si è presa clamorosa rivincita e questo farà indubbio bene al suo morale: la squadra, così com' è, non può bastare alle ambizioni del Signore e delle immani turbe che delirano al suo seguito. Il Milan è stato meno perentorio della Juventus nell' espugnare Bergamo: qui però un burgheimer di pura schiatta quale Domenghini ha dovuto riconoscere che i campioni hanno segnato meno della metà di quanto avrebbero potuto. Il Milan si è disteso in tutta la sua possanza, incurante (purtroppo) di abbandonare la difesa al proprio destino: e vi è stato un collega arguto non lombardo che ha perfino espresso soddisfazione nel constatare che il superlativo Baresi II nel giro danubiano ha avuto i suoi bravi ratès come il giovane e forse emozionato Costacurta, che pure lo imita nel presentarsi ruggendo. Il Milan non aveva bisogno di punti in classifica (si fa per dire) e quindi ha provato la squadra per Madrid mettendo in crisi le ambizioni continentali dell' Atalanta. Contro la forza, lamenterà il soave Mondonico, la ragion non vale. Né si tratta d' altro: ma se la difesa del Milan ha tentennato, segno è che anche l' Atalanta ha detto la sua davanti a Giovanni Galli! Questo indurre alla cieca non è precisamente elegante, però non incoraggia all' ottimismo i seguaci del buon vecchio Milan. L' ipotesi dannata è sempre quella, più volte ribadita a Fidel Confalonieri, amato braccio destro del Capitano: se quando il Milan attacca spensierato la stessa moderata Atalanta riesce a metterne in pericolo i difensori, si può prevedere di meglio quando con la stessa noncuranza tattica affronta il pericolosissimo Real Madrid? In questo interrogativo si riassume ogni possibile discorso sul Milan. Bloccato venti-venticinque metri più indietro, con Gullit autorizzato a correre recuperare impostare e concludere secondo che detta il suo genio, nessuna squadra al mondo ripeto: al mondo! può sognare di mettersi sotto l' attuale detentore del titolo italiano. Si consoli dunque l' Atalanta di chiudere alla pari il bilancio annuale con quella mostruosa compagine fondata sul ritmo e sull' invenzione continua. Mi restano due cartelline sulle altre della giornata. Al terzo posto in gerarchia è Bologna-Samp, che sulla carta promette squisitezze di natura extra-italiana. Ogni esito è possibile a questa stregua: anche il più strampalato. Personalmente, direi che la miccia può venire appicciata da un asso nato in casa e poi emigrato sul mare Ligure: il capriccioso Mancini, che Stradivialli rimpiange quando ne viene diviso in Nazionale (ma poi si fa sentire a stridere sulle corde che: Quando attacca non entra e quando recupera non difende). Inter-Como è quarta in gerarchia: fra le due lombarde corrono ventuno punti, che sono perfino troppi: ma Trapattoni lamenta jatture gloriose dopo il rientro dai suoi dal Danubio: Serena si è stirato seriamente: Ferri e Bergomi si sono contusi; lo stesso Berti un po' strampalato nel seguire gli estri offensivi si porta dietro ammaccature sgradevoli; e il Como, quello è sempre arcigno quando gioca, figuriamoci a San Siro. A calmare un tantino le ansie di Trapattoni, che gli usaiani (da Usa, benedetto Dio) stanno minacciando a suon di miliardi, la notizia appena giunta da Napoli, con la goleada della Juventus a tappare la bocca di tutti i malevoli (e si sa quanti siano). Non portasse male godere in anticipo di un bene non ancora conquistato compiutamente, verrebbe da chiedere qualche squillo di più al trombettiere che ci diletta in tribuna. Quanto a Vitali e Marchesi, sanno troppo il fatto loro perché si possa inciprignire qui l' argomento tecnico-tattico. Fiorentina-Pisa è il derby toscano di quest' anno. Il saggio Anconetani non ha trattenuto i freni inibitori solo quando si è trattato di sbilanciarsi circa la classifica delle due toscane: Saremo noi pisani ha spropositato a precedere la Fiorentina. Finora è in torto marcio, con sette punti di desiderio. Ma sono ancora undici le partite da giocare. Può succedere tutto. Pure che Anconetani abbia torto. Già oggi ne avrà una riprova sgradevole, se non altro per le prodezze riparatorie di Borgonovo. Verona-Lazio è una delle due classiche della giornata: una è già stata delibata a Napoli, l' altra verrà fatta fuori giusto oggi al Bentegodi. Il ricordo dell' andata è piuttosto umiliante per i veronesi, che all' Olimpico hanno preso tre gol. E' cambiato molto, da quel giorno lontano. Schopenhauer Bagnoli ha ripreso a comporre i capitoli migliori del Prolegomena alla vita saggia. Roma-Cesena chiama Liedholm a tentare per l' ennesima volta i numeri babilonesi (scire nefas diceva Orazio invano), che per lui costituiscono i numeri telefonici del mago di Busto Arsizio. Nessuna ironia. Quando un filosofo conosce tutto lo scibile, alla fine incomincia a sospettare che non serva molto. Il senatore Viola è pur sempre superiore al cavallo di Caligola. Dunque, nulla è perduto. Il Torino si avventa al Pescara, temibile in attacco: l' Italia intera quella animata da vero sentimento tifa per i granata di Borsano e di Gerbi junior. Se il caro vecchio Mario ne approfittasse per andare un giorno in collina? Fa bene al cuore, sa? Chiude Ascoli-Lecce, e qui mi è grato obbedire a quel bravo lettore che sconsiglia qualsiasi pronostico: potesse sbagliarne lui, certo si consolerebbe, ma un altro, mai! Buona domenica a tutti. ANCHE IL CALENDARIO è CONTRO IL NAPOLI RISCHIANO di essere sei stasera i punti di vantaggio dell' Inter nei confronti del Napoli. La squadra di Trapattoni giocherà infatti in casa contro il Como. Ecco i fattori che giocano a favore dell' Inter: CALENDARIO Nei due prossimi turni il Napoli sarà impegnato in una doppia trasferta, prima con il Milan a San Siro, poi a Firenze. L' Inter invece giocherà domenica prossima a Cesena e poi affronterà in casa il Pescara. Ecco il calendario delle due squadre: 24 giornata: Cesena-Inter, Milan-Napoli; 25: Inter-Pescara, Fiorentina-Napoli; 26: Inter-Milan, Napoli-Verona; 27: Juventus-Inter, Bologna-Napoli; 28: Inter-Lecce, Napoli-Roma; 29: Bologna-Inter, Napoli-Torino; 30: Inter-Napoli; 31: Lazio-Inter, Napoli-Sampdoria; 32: Inter-Atalanta, Ascoli-Napoli; 33: Napoli-Pisa, Torino-Inter; 34: Inter-Fiorentina, Como-Napoli. COPPE Il Napoli è tra l' altro impegnato in Coppa Uefa, contrariamente all' Inter. Mercoledi il Napoli affronterà in casa il Bayern, la partita di ritorno il 19 aprile subito dopo il match con la Fiorentina. L' eventuale finale il 3 maggio (tra la partita col Verona e quella col Bologna) e il 17 maggio (tra le partite con Roma e Torino). - copyright La Repubblica

Tra 69 giorni Napoli scoppierà. Adesso sono tutti cazzi di Berlusconi.



Giuseppe D'Avanzo è stato di una chiarezza devastante. Nel suo reportage da Napoli apparso in prima pagina di oggi dichiara cinicamente che Napoli ha, da oggi, 69 giorni per sfuggire alla catastrofe. Dal 5 luglio, infatti, a Napoli non ci sarà più posto per i rifiuti. Come dire: da adesso al 5 luglio sono tutti cazzi di Berlusconi.

Il reportage completo di D'Avanzo lo trovate qui.

Il nuovo libro di Corrado Sannucci.



Un buon feticista di Repubblica non può non avere nella sua biblioteca il nuovo libro dell'inviato Corrado Sannucci, dal titolo "A parte il cancro tutto bene".

Nel testo, edito da Mondadori nella collana Strade Blu, il giornalista parla di come ha scoperto di avere la leucemia, di come ha comunicato la notizia alla propria famiglia, in particolare alla figlia piccola, e di come ha affrontato il percorso delle cure per contrastarla.

Se volete leggere la prima parte di questo romanzo autobiografico potete farlo cliccando questo link, dove trovate un lungo estratto del testo, ora disponibile in libreria.

"Pere che il pompelmo faccia mele".

Repubblica mette tutto il suo archivio su Internet. Urrà urrà urrà. Ma
un refuso maligno rovina tutto. Nel titolino di una didascalia nel
cassettone c'è scritto "Pere saperne di più". La pagina è stata
evidentemente passata da Lino Banfi, inventore della famosa frase "Pere
che il pompelmo faccia mele".

Fabio P.

giovedì 24 aprile 2008

Niente post fino a lunedì.


Ci prendiamo qualche giorno di intervallo.

A lunedì.

Un altro feticista di Repubblica. E non solo.



Abbiamo scoperto recentemente il blog di Francesco Costa, ventiquattro anni, catanese di nascita, romano d’adozione da Marzo 2007. Francesco scrive in rete dal lontano 2003 e si occupa prevalentemente di politica italiana, americana e britannica.

Qualche giorno fa Francesco ha postato un commento in cui si dichiara un feticista dei quotidiani e tra le varie cose dà un suo giudizio particolare su Repubblica e sugli altri quotidiani italiani.

Interessante, non perdetelo.

E' qui.

Mensurati e Sorrentino vanno in semifinale di Champions. Zunino va a Cagliari.

Ci sono le semifinali di Champions Legaue, evento che fa sempre audience tra i lettori di Repubblica con la mania del calcio. Non essendoci più squadre italiane in lizza, i vari Crosetti, Sannucci, Piva, Currò etc. se ne stanno quindi a casa e sono così le seconde linne a muovere il culo. Esempi concreti ci arrivano da Barcellona, da dove oggi scrive Andrea Sorrentino e da Liverpool dove c'è Marco Mensurati.

Per non essere da meno, due pagine più in là, Corrado Zunino è andato a Cagliari a raccontarci il momento entusiasmante della squadra di Cellino.

martedì 22 aprile 2008

Coppa Uefa: Benedetto sfida i Rangers.

Benedetto Ferrara, il cronista viola di Repubblica, è in partenza per Glasgow dove giovedì la sua amata Fiorentina incontrerà i Rangers nell'andata di semifinale di Coppa Uefa.

L'ha annunciato lui sul suo blog.

lunedì 21 aprile 2008

Magazine-Repubblica 2-1.

Il magazine della concorrenza dà una doppia bacchettata a Repubblica, che nello stesso numero aveva scritto che il film "Io speriamo che me la cavo" è di Monicelli (invece è della Wertmuller) e in un pezzo su Ken Loach ha messo una foto di Ermanno Olmi. Ma poche pagine dopo lo stesso magazine parla entusiasticamente con tanto di virgolettati palesemente falsi della nuova linea di abbigliamento firmata George Clooney. Quella di cui l'attore ha detto di non sapere niente, tanto da avere presentato denuncia. Magazine-Repubblica 2-1.

Fabio P.

La ragazza africana accoltellata a Roma: il pezzo forte affidato a Cecilia Gentile.

Ci fa piacere che la notizia forte di ieri, lo stupro con accoltellamento di una ragazza africana a Roma, sia stata affidata a Cecilia Gentile.

Cecilia, redattrice romana di Repubblica, scopriamo essere appassionata di bicicletta e fotografia e, soprattutto, di viaggi.

Cecilia (nella foto con la sua bicicletta) ha una forte passione per i tour in bicicletta, e nel libro Buongiorno Senegal racconta i quasi 500 chilometri in sella alle due ruote nel cuore del Paese africano.

Sentite condoglianze a Concita De Gregorio per la morte del papà.

La redazione di Pazzo Per Repubblica si unisce al dolore di Concita De Gregorio per la morte del papà Paolo.

venerdì 18 aprile 2008

L'anonimo editoriale di oggi. Scalfari? Mauro? Diamanti? Giannini?

Chi sarà il ghostwriter che ha scritto il bellissimo editoriale dal titolo IL NORD E IL PD apparso sulla prima pagina di oggi?

Scalfari?

Mauro?

Diamanti?

Giannini?

E perchè non è firmato?

In ogni caso, eccolo:

Il Nord e il Pd

Nel Paese che cambia, ci sono riforme che non costano nulla, se non un atto di coraggio. Esempio: andare da un notaio, e firmare l'atto di nascita del Partito Democratico del Nord, federato al partito nazionale, con il sindaco di una grande città come segretario. Una forza politica leale a Veltroni ma autonoma, coerente col Pd nei valori ma indipendente nelle sue priorità e nei suoi programmi, soprattutto insediata nella zona italiana del cambiamento, e capace di una sua specifica rappresentanza: in uomini, interessi, esigenze e problemi.

Tutto questo non nella convinzione che il Nord si sia consegnato alla destra per sempre. Anzi. Il voto, rovesciando il cannibalismo con cui Berlusconi si cibò della Lega nei primi anni della sua avventura, vede, al Senato, il Pdl calare di 70mila voti in Piemonte, di 254mila in Veneto, di 236mila in Lombardia, a vantaggio della rimonta bossiana. E il Pd, che cresce di 295mila consensi in Lombardia e di 72mila in Piemonte, è pari ad ognuno dei suoi avversari in tutto il Nordest, ed è addirittura primo in tutti i capoluoghi veneti, Vicenza, Verona e Treviso compresi.

Ma il nuovo partito "metropolitano" non arriva al popolo minuto del capitalismo personale che innerva di innovazione e modernità l'area della Pedemontana, né al reddito fisso nordista colpito dalla crisi nella sua rappresentatività sociale. Non è vero che questo sistema economico e sociale rifiuta la politica, perché nella presenza capillare della Lega unita al populismo berlusconiano ha cercato comunque una ipotesi politica di rappresentazione, di interpretazione e di tutela del suo mondo.

Il problema della sinistra è che è esterna prima ancora che estranea a questa trasformazione molecolare del lavoro e della produzione, perché ferma ad una concezione fordista, "evoluzionista", dove la piccola impresa è solo l'impresa da piccola e non un soggetto della modernità, che opera nei luoghi del cambiamento, produce beni immateriali come informazione, servizi, finanza, conoscenza: leve di nuove figure professionali, nuovi saperi, nuovi diritti, nuove domande.

Da questa metropoli diffusa, come anche da Milano, la sinistra non può rimanere fuori, se vuole essere credibile come soggetto del cambiamento. Non può regalarla alla destra, né può pensare che la destra sia lì per caso. Un'offerta di culture diverse può arricchire la zona più ricca d'Italia, nell'interesse del Paese. Forse il Pd del Nord non servirà per vincere, ma servirà per vivere, o almeno per capire.


(18 aprile 2008) - La Repubblica

Ballottaggio in Sardegna: Luzi la spunta su Tito.



Si tratta di Gianluca Luzi, inviato di Repubblica, il terzo commensale alla cena di Villa Giulia ieri tra Berlusconi e Putin.

Luzi ha soffiato il posto all'ultimo minuto al suo rivale Claudio Tito.

giovedì 17 aprile 2008

Repubblica in tilt, Mauro reagisce: "A chi parliamo noi?"



Il 30 marzo, Eugenio Scalfari scriveva: "Ho un presentimento: il centrosinistra vincerà sia alla Camera sia al Senato". Forse queste parole risuonavano nel cervello di Ezio Mauro, quando oggi in riunione di redazione, si è chiesto, quasi accorato: "Ma Repubblica, noi, a chi parliamo?". La risposta se l'è data da solo: "Parliamo al Pd, quindi a un trenta per cento del Paese. Anzi a una parte del Pd, quindi al 20 per cento". Ha ragione Mauro a chiedere una riflessione, magari un po' tardiva, perché Repubblica sembra aver perso il contatto con il mondo esterno, con la gente comune. Troppo chiuso nelle conventicole intellettuali, nei circolini aristocratici di sinistra, nelle beghe interne a una sinistra burocratica che si è sfasciata, Repubblica è diventata un monumento. Per carità, sempre arguto e colto, ma incapace di capire perché la Lega avanzi, perché si continui a votare un signore tutto sommato ridicolo e perché la sinistra radicale sia andata a catafascio. Occorre cambiare linguaggio, ma prima ancora, ascoltare il Paese, indagarlo, senza fare sconti a nessuno, neanche a se stessi. Anche perché i tempi sono difficili. E lo sanno bene in redazione, dove risuona nei corridoi un dato negativo, meno 22 per cento in questo trimestre, e soprattutto rimbombano le parole dell'amministratore delegato Marco Benedetto, riferite con il passa parola: "Presto cominceremo a tagliare i costi. E se non basta, anche i giornalisti".

Tratto da stamparassegnata.splinder.com

Berlusconi in Sardegna: chi l'ha spuntata tra Tito e Luzi?

Stasera Berlusconi e Putin hanno cenato insieme nella residenza sarda del Cavaliere.

Un terzo invitato è stato notato al tavolo in mezzo ai due leader.

Chi sarà?

Claudio Tito o Gianluca Luzi?

Crosettismi.

A proposito di un pezzo di Maurizio che parla del Toro uscito oggi su Repubblica, ecco due crosettismi:

"Finisce così l'avventura granata di Walter Novellino, il tecnico con la faccia da pugile indio: ma i cazzotti, stavolta, non li ha presi solo lui".




"Stefano Antonelli, dirigente del Toro, ha passato al cognato le svariate procure di cui disponeva e ha provato a costruire il Toro col Lego. Usando, però, sempre lo stesso mattoncino che aveva pure il difetto di non incastrarsi".



ps: Maurizio, quanto ti sei divertito a scrivere questo pezzo sui tuoi nemici granata?

Il magic moment di Paolo Berizzi.

Dopo essere stato eletto come nuovo leghista di Repubblica, continua il magico momento del milanese Paolo Berizzi che è corso a Cornate D'Adda a fare la triste cronaca dei due operai morti in fabbrica.

L'ultima gita di Marco Marozzi.



Romano Prodi è a New York per l'ultima (?) gita da premier.

Lui e Marozzi, da domani, a New York potranno tornarci da soli e dormire dove cavolo vogliono loro e andare a vedere cosa cavolo vogliono loro.

Saving Private Bertinotti.



Per chi se lo fosse perso o per chi non compra Repubblica, ecco qui lo straordinario pezzo di Francesco Merlo dal titolo Salvate il soldato Fausto.

Aridatece Concita.



Che fine ha fatto la dolce Concita De Gregorio?

Spazzata via anche lei come la Sinistra l'Arcobaleno?

Che peccato Concita. Tutte quelle paginate di roba sulle elezioni e neanche un tuo pezzullo.

E adesso? Che ne sarà di Repubblica?

Ce lo spiega il direttore Ezio Mauro in queste poche righe:

"Quanto a "Repubblica", ha già fatto l'esperienza della destra, giocando la sua parte, e senza mai inseguire il ruolo di giornale di opposizione, perché non è un partito. Preferiamo semplicemente essere un giornale: con una certa idea dell'Italia, diversa da quella oggi dominante, un'idea certo di minoranza, e che tuttavia secondo noi merita di essere custodita e preservata".

Se volete leggere il pezzo integrale di Mauro, lo trovate qui.

Hey, tu. Vuoi sapere perchè ha vinto Berlusconi?

Te lo spiega Ilvo Diamanti in questo pezzo apparso su Repubblica di oggi.

Vincitori e trombati del PDR (Popolo della Repubblica).



Pagine e pagine e pagine e pagine di commenti e tabelle nei due giorni che hanno seguito la vittoria di Berlusconi alle elezioni politiche.

Da segnalare il grande trionfo dei due candidati del Popolo della Libertà Gianluca Luzi e Claudio Tito che secondo noi non vedevano l'ora di tornare a scrivere paginate di roba sul Berlusconi premier.

A sinistra ecco la trombata d'eccellenza Alessandra Longo alla quale, dopo aver macinato chilometri e chilometri sui sedili del pullman di Veltroni, è toccato scrivere il pezzo di commiato dello sconfitto principale.

Per non parlare di Umberto Rosso e Antonello Caporale che addirittura perdono il loro seggio arcobaleno in Parlamento: non gli resta che scriverne.

Ma il vero vincitore di queste elezioni è il leghista Paolo Berizzi che batte sul filo di lana l'altro candidato di Bossi, Guido Passalacqua.

Ma se c'è un vero vincitore c'è anche una vera sconfitta, colei che oltre al seggio in Parlamento ha perso anche quello in redazione: parliamo proprio di lei, la dolce Concita. Ma di questo parleremo in un altro post.

lunedì 14 aprile 2008

Crosettismi recidivi.

Lunedì scorso inauguravamo questa rubrica segnalando un paio di crosettismi di Maurizio riguardanti Walter Zenga.
Uno dei due recitava:

"Quasi tutti i suoi compagni delle notti magiche si sono sistemati, invece Zenga era rimasto attaccato all'album delle figurine".

Oggi, nel segnalare un crosettismo riguardante Del Piero, segnaliamo però la recidività di Maurizio a ricordare le figurine di lontana memoria:

"Come si fa a non portare Alessandro agli Europei, e non solo nell'album delle figurine?".

sabato 12 aprile 2008

Eindhoven o Estoril? Il dilemma di Benedetto Ferrara.

In redazione ieri ci siamo stupiti nel vedere che ad Eindhoven a fare la cronaca della Fiorentina c'era andato Giuseppe Calabrese anzichè il fido Benedetto Ferrara.

Oggi si è svelato l'arcano: Benedetto ha preferito andare all'Estoril a seguire il Moto Gp, tradendo così la sua beneamata Viola.

venerdì 11 aprile 2008

Pubblicità elettorale occulta sulla prima pagina di Repubblica.



Leggiamo su Camillo e correttamente riportiamo:

"Oggi sulla prima pagina di Rep. c’è un’inchiesta di Carlo Bonini sui veri responsabili della strage di Linate. Non fu errore umano, svela Bonini. Fu un’irregolarità deliberata. Un jet privato ha percorso un tragitto che gli era vietato, inducendo all’errore il Cessna. Di chi era il jet privato? Che domande… Era un jet Mediaset della flotta privata di Silvio Berlusconi.
(La cosa fantastica è che né in prima pagina né nei titoli né negli occhielli né nei catenacci, Rep. scrive di Mediaset e di Berlusconi)"

fonte: Camillo di Christian Rocca.

Il pezzo integrale di Bonini lo trovate qui.

L'Omericolatinista Omero Ciai sulle tracce delle Betancourt.



Il nostro Omericolatinista è andato a El Capricho per cercare di scoprire dove è tenuta prigioniera Ingrid Betancourt.

Il reportage è strepitoso e solo Repubblica ce l'ha. Tiè!

Godetevelo qui.

Emanuela Audisio spegne la torcia olimpica a San Francisco.



Grande pezzo ieri da San Francisco della signora dello sport Emanuela Audisio.

Eccolo:

La fiamma del peccato è diventata invisibile. Braccata come una preda, è scappata dalla gente. Si è nasscosta, ha viaggiato in incognito, protetta dalla polizia.
Come un malvivente che la folla vuole linciare. E´ il simbolo del male, dell´oppressione, una lettera scarlatta. Tibet e Darfur, ma non solo. Potrebbe essere il suo ultimo viaggio. E questo il suo funerale a Cinque Cerchi. Inventata dai nazisti nel ´36, spenta dalle proteste per i diritti civili nel 2008. Dalla globalizzazione di chi non accetta più i massacri visti in tv. Dai militanti dell´opinione pubblica. Quarant´anni dopo il ´68 la protesta, che nacque qui, torna a bruciare la California, unica meta in America della fiamma olimpica. Stavolta non per la guerra nel Vietnam, ma per quella non ufficiale in Tibet. Fa effetto vedere Richard Gere, ben avvolto in sciarpa e cappotto, sfidare il vento gelido del Pacifico e ripetere nella veglia notturna come un bambino a scuola, lo slogan che esce a singhiozzo da un monaco buddista: «China lies, Tibet dies». La Cina è bugiarda e il Tibet muore. Gere, amico del Dalai Lama, fa anche di più: accusa la Cina di frodare la fiducia del mondo. Fa impressione vedere l´arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, premio Nobel per la pace, ballare forse per il freddo, con la tonaca viola, come fosse un Blues Brother.
San Francisco è invasa da migliaia di persone: da striscioni, bandierine, cortei, sit-in, pullman di cinesi sorridenti, manifestanti arrabbiati, monaci tibetani, star di Hollywood, tamburi, concerti, associazioni animaliste, umanitarie, Falun Gong, movimenti spirituali, nudisti che minacciano di sfilare senza vestiti, visto che a Olimpia si faceva così. Ognuno con la sua giusta causa, ma senza proclami di violenza. Settecento agenti sul ponte del Golden Gate che attraversa la baia. Chi si era messo in ferie è stato richiamato al lavoro. L´agente Shawn Case precisa: «Il percorso della fiaccola è stato abbreviato, appena 6 miglia, così lo controlliamo meglio. E abbiamo un piano di riserva, strade alternative, abbiamo vietato a chi corre di portare il cellulare, per evitare intercettazioni. Non sanno nemmeno loro dove correranno». Il punto critico è il Pier 39. E lì che scatterà il piano d´emergenza. Il sindaco, Gavin Newsom, che cerca di essere gentile con tutti, conferma che il percorso può essere modificato «in qualsiasi momento». Magnifico. Ottanta tedofori, anzi 76, perché una ragazza cinese di 14 anni ha avuto paura e si è ritirata, seguita da altri tre, trattati come un gregge da portare in salvo. Perché i lupi mannari della protesta sono pronti ad azzannare. Dice una signora handicappata impaurita: «Non è giusto che se la prendano con me in carrozzella anche se la loro causa è giusta».
Traffico deviato, strade chiuse, zona del porto sconvolta. Ci sono tutti, dalla polizia stradale all´Fbi. La California Highway Patrol, quella dei telefilm, la brigata motociclistica con le Harley Davidson, la Guardia Costiera per impedire strane incursioni dall´oceano, traffico aereo vietato ai privati, cani-poliziotto, facciate dei palazzi pubblici sottoposti a controlli. Venti chilometri di transenne, sul ponte vietato l´accesso ai pedoni, controlli negli zaini dei ciclisti. Soprattutto da quando i tre manifestanti che si sono arrampicati sul Golden Gate per issare lo striscione pro-Tibet hanno confessato di aver portato il materiale nascosto in una carrozzina per neonati. Marc Sutherlin, 30 anni, e Duane Martinez, 27, sono stati liberati dopo una notte in prigione. Saranno processati. «Ne valeva la pena, noi abbiamo sofferto poco rispetto ai massacri inflitti al Tibet. E´ un anno che preparavamo la nostra azione, siamo pronti a rifarla». Liberata anche la ragazza, Hanna Strange, 29 anni, di Oakland, ciuffo rosso sui capelli, che si era arrampicata con loro. «Per il Tibet questo e altro». Gli altri quattro che avevano aiutato da terra sono stati rilasciati, senza sanzioni. E adesso vanno in giro con lo stesso piglio rivoluzionario di Che Guevara e con la maglia «Tibet team». Sono gli eroi della protesta, sono i ragazzi del ponte, sono quelli pronti a trasferire ad altri colleghi del mondo il come si fa. Istruzioni per l´uso contro la fiaccola, il tam-tam viaggia con internet, viene continuamente aggiornato e filmato. Le webcam fanno il resto: danno immagini e benzina alla protesta. La fiamma olimpica accende la rabbia e brucia le città del futuro e del passato: Atene, Londra, Parigi.
L´Embarcadero Plaza è pieno di folla. Ci sono cortei a favore e altri contro. Urla, trombe, trombette, bandiere rosse e ideogrammi. La comunità cinese di San Francisco è la più grande d´America e non ci sta a farsi rapinare di questo momento di gloria. «Abbiamo aspettato i Giochi per tanto tempo, adesso perché ce li vogliono vietare? Protestino alla Nazioni Unite, non qui ». E vai con draghi e lanterne. Ma questa è anche una città che ha ospitato nel 1979 la prima visita del Dalai Lama in America ai tempi in cui la senatrice democratica Dianne Feinstein era sindaca. Infatti suor Patricia Rayburn, 64 anni, del convento francescano di Redwood City dice che lei è pronta a correre, ma anche a pregare: « Perché i diritti umani devono essere rispettati, io porto la torcia, ma dentro di me certe contraddizioni le avverto». Dean Karnazes, 44 anni, di origina greca, che fa parte dei quaranta cittadini di San Francisco prescelti, aspetta da troppo tempo questo momento per rinunciare al suo ruolo da tedoforo. «Io corro la maratona, se mi attaccano sono pronto a scappare. La fiaccola ha un valore universale, non me lo farò scippare». Ecco, appunto, la fiamma olimpica è diventata una preda. A queste condizioni, con la polizia in stato di assedio in ogni paese, ha senso continuare il viaggio nelle 21 città del programma? Il Cio se lo sta chiedendo, anche perché gli sponsor che hanno investito un miliardo e mezzo di dollari non sono molti allegri, anche se la contestazione era ampiamente prevista. Ma nessuno si aspettava che la rivolta viaggiasse di città in città con sempre più energia. La Bbc annuncia che il premier Gordon Brown non andrà alla cerimonia di inaugurazione. «All across the nation such a strange vibration.There´s a whole generation with a new explanation» cantava Scott McKenzie nel ´68. C´è una nuova generazione con una nuova spiegazione. E soprattutto c´è una fiamma che non spiega e non convince più.

EMANUELA AUDISIO - LA REPUBBLICA

giovedì 10 aprile 2008

Tra torcie olimpiche ed elezioni spunta l'inviata con le palle.

Mentre tutti parlano di torcia olimpica ed elezioni, spunta lei, Francesca Caferri, l'inviata con le palle, che da Bagdad su Repubblica di ieri ci racconta il quinto anniversario del crollo di Bagdad.

Il geko della Canalis: adesso dormiamo più tranquilli.

Su Repubblica di oggi leggiamo una intervista di Silvia Fumarola ad Elisabetta Canalis.
Ad un certo punto la Fumarola scrive: " La Canalis ha un geko tatuato sul piede e su un braccio mostra orgogliosa la scritta PAIN IS LOVE".

Grazie Silvia, adesso dormiamo più tranquilli.

martedì 8 aprile 2008

Il refuso nel nome dell'inviato: da matita rossa!



Nella foto il clamoroso refuso apparso su Repubblica di oggi.

Perchè in due a Cagliari? Torna la rubrica "Soldi buttati".



Qualcuno mi spieghi che senso ha mandare Claudio Tito a Cagliari dietro al Berlusca e due pagine dopo scoprire che a Cagliari c'è andato anche Sebastiano Messina per scrivere un pezzo su Renato Soru.

Lealtà alla Repubblica o alla Costituzione?

Notizia: Veltroni scrive a Berlusconi

Ore 19 di oggi

Titolo di Repubblica.it:
"Lealtà alla Repubblica"

Titolo del Corriere.it:
"Lealtà alla Costituzione"

lunedì 7 aprile 2008

Crosettismi. I calembour di Maurizio Crosetti.



Dal pezzo di Maurizio Crosetti di oggi sull'esordio vincente di Walter Zenga sulla panchina del Catania:

"L'Uomo Ragno ha cavato se stesso dal buco".

"Quasi tutti i suoi compagni delle notti magiche si sono sistemati, invece Zenga era rimasto attaccato all'album delle figurine".

Bel reportage da Dharamsala dell'inviato (ed ex rapito) col lutto.



Ecco la versione integrale del reportage di Daniele Mastrogiacomo da Dharamsala:

DHARAMSALA - Le foto sono sbiadite, i colori spenti, le figure sgranate. Le hanno immortalate con il cellulare, tra le vie, gli anfratti, le case anonime di Lhasa: scatti frettolosi, rubati, mentre i reparti speciali della polizia e l'esercito cinese davano la caccia ai feriti e portavano via i morti della rivolta. Adesso sono lì, prove crude e concrete; per un mondo che prima inorridisce, s'indigna, condanna e poi, sommessamente, chiude gli occhi e rimuove, schiacciato dagli interessi economici, deciso a non alterare gli equilibri geopolitici di un'area che resta e deve restare immutata. Corpi nudi, di uomini. Corpi deformati dai colpi, dalle percosse, le bocche chiuse in una smorfia che non sai se attribuire al dolore o all'ultimo respiro di un'agonia infinita.

Cadaveri distesi pieni di sangue rattrappito, i fori dei proiettili all'altezza del viso, del petto, dei fianchi, delle gambe, della schiena, della testa. Qualcuno ha avuto la forza e il coraggio di spedirli ad altri cellulari, a siti sicuri e protetti del web in una corsa contro il tempo. Prima del black-out, dei ripetitori disattivati, del blocco delle linee telefoniche, delle tv oscurate, delle retate porta a porta, nei monasteri, nelle università, negli alberghi, negli ospedali. Prima degli arresti e del cerchio di acciaio e piombo che ha sigillato l'intero Tibet.

Le foto, stampate come un manifesto, campeggiano su un filo di naylon teso sopra il cancello d'ingresso del "Tsuglakhang complex", la residenza ufficiale in esilio del Dalai Lama immersa nel cuore di McLeod Ganj, India del nord, il villaggio-simbolo del Tibet in fuga abbarbicato sul costone di una montagna che si arrampica verso la catena dell'Himalaya. Quaranta uomini e quaranta donne del villaggio, seduti in due distinti recinti, gli uni di fronte alle altre, proseguono da tre settimane lo sciopero della fame e della sete.

Si danno il cambio ogni 12 ore. Cantano a voce bassa, pregano, sollevano provati le dita della mano in segno di vittoria. Le voci si affievoliscono con il passare delle ore, i corpi si distendono, qualcuno crolla tra coperte e giacche, teli, cartelli con gli slogan, incensi che bruciano. Davanti ondeggiano le foto, sospinte da folate di vento gelido che scende dalle vette innevate dell'Himalaya. Sono un pugno allo stomaco. Centinaia di persone le osservano, le fotografano, le filmano, le studiano da vicino. Chi per riconoscere un familiare, un amico, un conoscente.

Chi soltanto per inorridire di fronte ad una mattanza che difficilmente troverà giustizia. Nonostante le proteste di mezzo mondo, pochissimi paesi hanno insistito per sapere la verità. Il mitico "Shangri-là", il tetto del mondo, la terra nella quale il buddismo, simbolo di pace e di tolleranza, affonda le sue radici, resta chiuso agli stranieri e ai turisti cinesi. Bisognerà attendere il primo maggio, festa dei lavoratori, data scelta da Pechino con chiara valenza politica, per capire e vedere con i propri occhi cosa sta veramente accadendo dal 10 scorso a Lhasa e nelle province vicine di Sichan, Gansu e Qinghai.

Attraverso il segretario del partito comunista del Tibet, la Cina ha annunciato che da quel giorno la regione centroasiatica riaprirà i battenti al mondo. Perché l'industria turistica ha risentito del blocco e perché Pechino vuole presentarsi a testa alta all'appuntamento con le Olimpiadi di agosto.

Le voci che giungono qui raccontano di carri armati schierati nei principali incroci di Lhasa, di monasteri ancora chiusi e assediati, di pattugliamenti incessanti su tutte le strade e di elicotteri che volteggiano in cielo pronti a mitragliare il primo assembramento sospetto. Non sappiamo se sia vero. Sappiamo solo ciò che raccontano le testimonianze raccolte e riproposte ogni giorno a McLeod Ganj durante il corteo che si snoda lungo le vie del villaggio per tenere accesa l'attenzione sul Tibet.

Storie che si assomigliano tutte, per l'orrore che svelano e per il terrore di chi le racconta. Il tempo, però, tende a smorzare i sentimenti. Più passano i giorni più l'appuntamento delle sei del pomeriggio, un pellegrinaggio di monaci, sostenitori, turisti, ragazzi e ragazze venuti da ogni angolo del pianeta, le candele accese, bandiere tibetane, preghiere e slogan, sembra un rito stanco. Un ragazzo, armato di megafono, passa per tutte le vie del villaggio e invita la gente a radunarsi.

L'appello è accolto, più per forma che per sostanza. E ogni giorno la folla dei primi momenti, quando questa fetta di Tibet in esilio si radunava in massa, chiudeva negozi, bar e ristoranti e gridava la sua rabbia mista al dolore, si assottiglia sempre di più.

Resistono l'orgoglio di un popolo defraudato della sua terra, il desiderio di verità e di giustizia, una solidarietà diffusa, istintiva. Ma in giro si respira un sentimento di impotenza. Per ben quattro volte, negli ultimi dieci giorni, i vertici di India e Cina si sono sentiti al telefono: Pechino ha chiesto a New Delhi garanzie sul percorso della fiaccola olimpica che il 17 aprile passerà nella capitale e ha sollecitato una presa di posizione più decisa sul tema del Tibet.

Il premier Manmohan Singh si è detto contrario al boicottaggio dei Giochi e ha sollecitato il Dalai Lama a non svolgere alcuna attività politica anticinese fino a quando sarà ospitato. Perfino il gesto di Baichung Bhutia, capitano della nazionale di calcio indiana, considerato una vera star per aver diffuso il football in un paese che vive solo per il cricket, è caduto nel vuoto. Ha respinto l'invito a portare la fiaccola quando passerà a New Delhi. Ma è rimasto solo. Nessuna delle altre 50 celebrità dello spettacolo e dello sport coinvolte nell'operazione politico-diplomatica si è tirata indietro. Ammir Khan, stella di Bollywood a cui si era appellato lo Tibetan youth congress, si è detto "orgoglioso" di alzare la fiamma olimpica. "Nessuno rifiuta", ha motivato, "non vedo perché l'India dovrebbe rinunciare a questo onore".

Sorride nervoso il presidente della Tibetan youth congress, Tsewang Rigzin: "Da un punto di vista religioso rispettiamo le opinioni del Dalai Lama ma sul piano politico siamo favorevoli al boicottaggio. Far passare per Lhasa e piantare sulla cima dell'Everest la fiaccola è un gesto politico, non sportivo".

Anche la gente di McLeod Ganj non si rassegna. Ma la vita deve ricominciare. Riaprono i negozi, gli alberghi, i bar, le sale da tè, i ristoranti. I turisti di sempre arrivano giorno e notte, con gli autobus carichi all'inverosimile, i taxi traballanti, i treni colmi di passeggeri. Un fiume umano di donne, uomini, spesso giovanissimi, che qui cerca la soluzione ai propri affanni. Con corsi di filosofia tibetana, di magia, di massaggi, di lingua, di astrologia, di yoga e di meditazione. Tra nobile volontariato, bonzi fuggiti da un inferno, qualche cialtrone e i soliti approfittatori. La gente segue, studia, partecipa. S'immerge fino al collo in questo ambiente, rispettando alla lettera valori e usanze. Sveglia all'alba, niente alcol, fumo e cibo solo vegetariano. C'è chi rimane un mese, chi un anno, chi il resto dei propri giorni. Vanno e vengono. La comunità tibetana vive anche su questo. Sognando, da mezzo secolo, di tornare un giorno a casa.

Gruppi di ragazzi si allenano correndo sulle strade in salita del paese, altri si riscaldano con esercizi sulle terrazze dei campi coltivati a grano. Forse pensano alle Olimpiadi. Quelle vere, libere. Con la bandiera gialla, blu e rossa del Tibet che garrisce al vento.

(6 aprile 2008) - La Repubblica

Gli ultimi fuochi del prode prodiano Marco Marozzi.

E' sempre stato l'ombra di Romano Prodi. Marco Marozzi adesso sta consumando le sue ultime cartucce da prode prodiano: Prodi è a Londra e lui lo segue in una delle sue ultime avventure.

Il giuramento padano di Pontida: adesso è Paolo Berizzi il vero leghista di Repubblica. Ha superato Passalacqua.



C'è il giuramento leghista di Pontida e mentre tutti qui in redazione ci aspettavamo il pezzo di Guido Passlalcqua, ecco spuntare la cronaca del neo leghista di Repubblica Paolo Berizzi.

sabato 5 aprile 2008

Da cinque giorni è nello Zimbabwe col rischio di essere arrestato: Paiolo d'Oro all'inviato Giampaolo Visetti.



Due giornalisti sono già stati arrestati nello Zimbabwe e lui, imperterrito, continua da cinque giorni a scriverci cosa sta succedendo in questo paese africano nei giorni successivi alle elezioni che hanno dichiarato la sconfitta di Mugabe.

Parliamo ovviamente delll'inviato di Repubblica a Harare, Giampaolo Visetti, che per il suo coraggio si becca il Premio Paiolo d'Oro della redazione di Pazzo Per Repubblica.

Ecco il suo reportage apparso oggi su Repubblica:

"Vendiamo tutto, è il disastro"
dal nostro inviato GIAMPAOLO VISETTI

HARARE - La notte del regime è buia, vuota, ma affollata di fantasmi. Comprano e vendono ciò che resta del potere. Si preparano a scappare, o a diventare ricchi restando e scommettendo sul crollo della dittatura. Oppure scelgono di bere e di ballare, di innamorarsi per qualche ora perché la vita, in Zimbabwe, domani non si sa come sarà. Le strade della capitale sono deserte e silenziose. I chioschi che grigliano mais bianco e pezzi di pollo già spolpati, hanno chiuso in anticipo. Dove sono finiti tutti? Da giorni è così.

A un certo punto non si capisce dove vada a finire la folla che fino a pochi istanti prima sostava in fila davanti ai forni del pane, o ai bancomat. In molti quartieri manca la luce: la gente va a letto senza sapere se si sveglierà libera, oppure schiava dell'esercito. Appena sale l'ombra, ci si chiude in casa. Il centro di Harare è percorso solo da pick-up carichi di soldati. Non un assedio. Può capitare che non passa anima viva anche per mezz'ora. Poi, da lontano, si percepisce un rumore che sale. Sono mezzi vecchi, assordanti. E il plotone passa, mezzo addormentato sui cassoni.

Pattuglie della polizia, fino all'alba, zoppicano lungo i marciapiedi e si fermano a fumare agli incroci. Le donne-agenti sono in maggioranza. Robuste, qualcuna di più, sembrano casalinghe dirette a fare la spesa. Chiacchierano e sorridono. Si aggiustano l'elmetto in testa e cambiano il braccio che regge il fucile automatico. E' quasi mezzanotte. Tongogama Street è lastricata con punte di metallo. Nessuno, adesso, può transitare davanti al palazzo presidenziale e al ministero dell'agricoltura.

L'invisibile "Zimbabwe House", protetta dal coprifuoco, è circondata dall'esercito. Dal muro di cinta, tra palme e bungavillee giganti con fiori color crema, spuntano le bocche di due cannoni. Appena fuori dal centro, posti di blocco fermano chi esce dalla città. Il "York Lodge", nell'omonima strada di "Highlands", è sbarrato. Nessuno risponde al citofono. La polizia ha appena portato via i giornalisti stranieri arrestati. Attorno, ville eleganti e case all'inglese.

Uno degli ultimi farmer bianchi che hanno resistito ai sequestri di Mugabe, ha un appuntamento con gli amici. Sono terrorizzati. Accompagnati dalle mogli, a lume di candela, discutono e litigano. Non sanno cosa fare contro lo spettro della repressione. Bevono molto e qualche signora dà un tiro di sigaro. Quasi tutti hanno riempito di benzina le auto, comprato biglietti aerei, prenotato vacanze all'estero. "Se Mugabe non cede - è l'ossessivo ritornello - arrivano i generali. E se arrivano loro, ce la fanno pagare una volta per tutte".

Pregano di non fare i loro nomi. "Otto anni fa - racconta il figlio di un farmer a cui la dittatura ha confiscato tre fattorie vicino a Bulawaio - l'esercito ha avuto mano libera. I negri entravano in casa, rubavano e distruggevano tutto. Mia cugina è stata violentata, un nostro amico ucciso nel suo campo di tabacco".

Raccontano decine di storie: neri prepotenti, neri che non hanno voglia di lavorare, neri stupidi e incapaci, neri ladri, neri lenti. Bianchi generosi e pronti "a rimettere le cose a posto". I toni sono razzisti e non sono ammesse contestazioni. L'odio tradisce la paura di dover "prendere il volo" molto presto. Non amano Tsvangirai, "troppo sindacalista". Puntano sui fondi internazionali per la ricostruzione. "Il rand - dicono - sta salendo. Il Sudafrica non aspetta che di investire qui".

Se potessero, nominerebbero presidente Simba Makoni, perché "conosce gli affari e sa che quando sei nei guai ti servono i capitali, non i diritti dei lavoratori". Uno di loro trasporta ghiaia a Johannesburg. Dice che sabato scorso, il giorno del voto, i suoi camionisti hanno impiegato sei ore tra il confine di Beitbridge e Harare. La folla occupava le strade, festeggiando già la libertà. "Era come nel 1980 - dice - nel giorno dell'indipendenza. La verità è che Mugabe, senza brogli, non ha preso più del 10%".

A pochi chilometri, nello slum nero di Mbare, attorno alla collina di Kopje, pregano invece i neri che il regime ha reso schiavi. Nelle baracche attorno al mercato, sommerse tra i rifiuti, si ammassano cartoni, pneumatici sfasciati, bottiglie di benzina e bastoni. Un'umanità devastata si prepara a combattere. "Contiamo i battiti del cuore del vecchio - dice l'autista di un furgone - Questa volta, se non se ne va, gli faremo capire che regna sull'inferno".

Non si tolgono dalla testa le immagini di guerriglia del Kenya, ne fanno un punto d'onore. Ripetono che non possono accettare di essere umiliati per la sesta volta, senza alzare un dito. Però non posseggono armi, non sono organizzati, non sanno bene cosa fare, oltre che accendere un po' di fuochi.

Il paese reale non è negli alberghi, nei palazzi del potere e forse nemmeno nella sgangherata sede dell'Mdc. Muore qui, abbandonato in una puzza sorprendente, tra cumuli di bambini che non dormono mai e hanno sempre fame. Gruppi di nonne, nel cuore della notte, trascinano carretti di legno fino agli orti clandestini dei villaggi. Dall'alba, con angurie e pomodori ben impilati, dormono lungo i marciapiedi. A Mbare tutti sono vittime e tutti hanno votato per Tsvangirai. La polizia ha ordinato di non uscire di notte, se non cercano guai.

Restano solo vecchi, bambini, ammalati, qualche disperato che non lavora da anni. Sono troppo poveri per scappare. Molti sopravvivono grazie alle rimesse dei 4 milioni di zimbabwani rifugiati all'estero. "Se volete capire cos'è l'agonia di un dittatore - dice un ragazzo - andate sulla Nelson Mandela". In un palazzone a due passi dalla sede del partito del potere, gli uffici hanno le luci accese. C'è scritto: "Investimenti e sviluppo". Neri in cadenti abiti "tipo elegante" comprano e vendono case, terreni, aziende. I telefoni sono intasati, segretarie assonnate scrivono cifre, nomi di clienti, indirizzi. "I prezzi - dice un businnesman - continuano a salire. Fino a tre settimane fa la roba non valeva niente. E se va come deve andare, fra poco il mercato andrà alle stelle".

Un Paese all'asta nel cuore della notte, con le forze armate all'orizzonte e la popolazione sospesa tra speranza e sconforto. Il problema è che molti beni vengono improvvisamente tolti dal mercato. Domani varranno di più, presto forse il doppio: gli affari aspettano le soffiate di un certo "Tyson", infiltrato nell'ufficio politico del partito. I soldi invece si trovano a Msasa, sulla strada verso Mutare.

Berline scure sono parcheggiate sul piazzale della "Harrow", fuori dal centro commerciale "Doon Estate". Passano di mano bilioni di "zim dollars". Il mercato nero è protetto da uomini in divisa, che riscuotono "una tassa". Solo banconote da 10 milioni, stipate in sacchetti di plastica. Il cambio ufficiale è 30 mila dollari locali per1 dollaro Usa. Stanotte, se si cambiano almeno 200 dollari, si strappano fino a 6 milioni per verdone. "Se ti fermano senza la ricevuta della banca - dice un poliziotto - dì che te li ha prestati un amico".

Ormai vegliano tassisti, soldati, qualche portiere di hotel che offre "ragazze con il certificato medico nuovo". Ti fermano solo per dire che hanno votato per cambiare, che la fine è vicina, "in un modo o nell'altro". In Enterprise Road sembra invece di essere nella Salisbury di Ion Smith, prima del 1980. L'"Amanzi", club esclusivo in stile coloniale, resta deserto fino a mezzanotte. Poi però l'orchestra comincia a suonare Bob Marley, i Beatles, un po' di afro-funk.

Sbucano dal parco circa duecento persone ballano, cantano, scherzano e accumulano bottiglie di birra. Alcune tavolate, alle tre del mattino, ordinano carne alla brace, banane e patate. Ci sono canadesi, armeni, inglesi, italiani, americani, coloured, zimbabwuani bianchi e neri. Stanno tutti bene, parlano di vestiti e di andare in moto a vedere gli elefanti in Botswana. Le ragazze sono molto corteggiate. Fanno festa perché "è pur sempre giovedì sera". Il ristorante, tra cascate e ruscelli che disegnano un giardino tropicale, è blindato e chiuso da rotoli di fino spinato.

Alcune coppie girano abbracciate sulla veranda, seguite tra i tavoli dagli uomini di scorta. Passa un'altra cinica notte del regime in agonia: sono tutti prigionieri, all'"Amanzi" o a Mbare, decisi a non smettere di parlare per ore, purché si dicano cose senza importanza. Perché ognuno pensa ad una cosa sola: dov'è Robert Mugabe, cosa sta aspettando ad andarsene?

All'alba tocca a un commerciante di Mutare, a malincuore, accettare di raggiungere l'hotel Meikles, in centro. Nella piazza del parlamento alcuni poliziotti prendono a calci e manganellate due uomini a terra. Si erano calati in un negozio sollevando le lamiere del tetto. Hanno rubato alcune bottiglie di olio e una borsa di riso. Su certe cose il presidente non accetta scherzi.

(5 aprile 2008) - La Repubblica

Sul pullman di Veltroni: in Sardegna Alessandra Longo, in Campania Goffredo De Marchis.



Continua il tour elettorale di Walter Veltroni in giro per l'Italia. Giovedì è stata la volta di Cagliari dove per Repubblica è andata la ormai ferrata Alessandra Longo. A proposito: come avranno fatto a portare il pullman in Sardegna?

Ieri invece il pullman ha fatto le gimcane tra i sacchi di spazzatura della Campania. A bordo c'era la new entry (parliamo di pullman) Goffredo De Marchis.

giovedì 3 aprile 2008

Al comizio bolognese di Michele Smargiassi, i manifestanti lanciano sedie.



Ferrara colpito dai pomodori nel suo comizio di Bologna. Ma a farne le spese è il manifestante bolognese di Repubblica Michele Smargiassi che è stato colpito alla testa da una sedia.

martedì 1 aprile 2008

L'Expo a Milano: Rodolfo Sala e Giuseppina Piano battono il turco Marco Ansaldo.



E' toccato ai milanesi Giuseppina Piano e Rodolfo Sala volare a Parigi in gita premio per raccontarci la vittoria della Moratti che si aggiudica l'Expo del 2015 (finalmente un Moratti che vince). Piano e Sala hanno avuto la meglio sul turco Marco Ansaldo che era andato nella sua Smirne a sperare di battere la sciura Letizia.