mercoledì 30 gennaio 2008

La dolce Concita ci spiega la fine della love story tra Veltroni e Berlusconi.

L'idillio è già finito, arrivano i duellanti.
di CONCITA DE GREGORIO

ROMA - Sono come due che non sanno come dirselo: è finita, peccato. Veltroni ci prova ancora: "Si poteva fare, eravamo a un passo. Si può fare se si vuole". Berlusconi sta sulla difensiva, si vede che si sente quello che pianta l'altro da un minuto all'altro - in colpa, diciamo pure - e come in questi casi capita esagera: "Non avrebbe mai funzionato", se la racconta e la racconta così. L'idillio non è durato niente, nemmeno due mesi. Un amorazzo estivo fuori stagione.

Erano i primi di dicembre, loro in conferenza stampa appena leggermente differita e i giornali a titolare: "Veltrusconi", eccoli qua i campioni della nuova stagione della dissimulazione politica, della memoria corta e della convenienza lunga. Insieme per fare le riforme e che piacere vederti, e mio caro, e prego passa pure prima tu, ma no che i comunisti non mangiavano i bambini, scherzavo. Certo che era un matrimonio di opportunismo e non d'amore, del resto stiamo parlando di politica: un matrimonio "di scopo", si direbbe ora. Giusto per fare la legge elettorale e poi ciao.

Niente, invece. Sessanta giorni scarsi ed ecco un altro film. Stessa scena, quasi. Stesso palco solenne, questa volta al Quirinale. Stessa sequenza: prima uno poi l'altro in favore di telecamere. E' caduto il governo nel frattempo, questa è la non secondaria novità. Berlusconi voleva cambiare la legge elettorale dalla sua stessa maggioranza concepita, il "Porcellum" (latino maccheronico da "porcata", non ce lo dimentichiamo) ma ha cambiato idea: ora vuole votare subito, una nuova convenienza preme alla porta. Veltroni voleva cambiarla e coerente insiste, votare subito sarebbe una tragedia "riprodurrebbe lo stesso scenario" (se anche fosse a parti invertite cosa cambierebbe?, è il sottotesto implicito). Dice che se "si è animati dalla voglia di farlo è possibile, se non si ha voglia bisogna dirlo chiaro". Non ho voglia, lo dica Berlusconi: non ho più voglia, è un capriccio un calcolo una porcheria. Scene da un divorzio forzato, come se da qualche parte ci fosse una moglie che richiama all'ordine. Per esempio Fini, o Bossi e la Lega.

Berlusconi difatti si presenta al Quirinale con Tremonti che dei rapporti con Bossi è sempre stato ed è il garante. Non attacca Veltroni anzi una volta lo cita come testimone a favore ("è lui che ha detto che il centrosinistra è un caravanserraglio"). Devia senz'altro verso un folkloristico siparietto sui problemi dei ristoratori italiani a New York: c'è un suo amico che lo ha chiamato per dirgli che gli americani da quando hanno visto sulla Cnn le immagini dei rifiuti a Napoli disdicono le prenotazioni e vanno al ristorante francese. Anche l'immondizia in favore di Sarkozy, maledizione. E' già chiaramente in campagna elettorale, il Cavaliere.

Sono due discorsi da campagna elettorale, in effetti, le lunghe dichiarazioni stampa dei leader dei due schieramenti reduci dall'incontro con Napolitano. Un'ora a testa con cinque minuti di comporto per far uscire uno e far entrare l'altro senza che si incontrino, come dall'analista. E come in seduta dal terapeuta ciascuno va a dire, onestamente quanto può, le ragioni del suo agire. Berlusconi sa che Napolitano non ha gradito affatto il suo appello alla piazza, la "marcia su Roma" minacciata in caso di mancate elezioni. Nega, si dice mal interpretato.

Lo ripete poi fuori ad uso dei tg, "una vergogna aver manipolato il mio pensiero": i siti internet allestiscono un confronto fra le parole pronunciate la settimana scorsa e quelle di oggi. Contraddittorie, evidentemente, ma si sa che per Berlusconi vale sempre e solo l'ultima, pazienza se l'evidenza smentisce. Lo accompagnano Vito e Schifani, i capigruppo, Tremonti oggi molto pallido, Bonaiuti il portavoce storico. "Si deve votare", dice. Con questa legge? Ha cambiato idea? Qui un pochino s'impappina. Spiega che "aveva accettato il progetto di dialogo" ma che poi "l'ultima versione della riforma che portava le circoscrizioni elettorali da 60 a 32 non avrebbe evitato il frazionamento", aggiunge che comunque i sondaggi danno il "blocco liberale" in forte vantaggio e che insomma fatti i conti gli conviene: anche se vince così il centrodestra vince bene e poi del referendum se ne riparla fra un anno, magari non se ne riparla più.

Gli deve restare un retropensiero malmostoso sulla corrispondenza amorosa interrotta se sente il dovere di aggiungere che per lui "il dialogo comunque può anche continuare, io sono uno con cui è facilissimo dialogare: mi faccio concavo con chi è a punta e convesso con chi ha manchevolezze". Veltroni non si risenta: non è un fatto personale. Di seguito gli aneddoti sui ristoranti italiani a New York, la "vergogna dell'immondizia per le strade" e sembra già di vedere i manifesti della campagna prossima ventura, Prodi con i sacchi di immondizia alle spalle: "Pensate che per mantenere le prenotazioni nel suo locale il mio amico ha dovuto portare le signore a verificare le condizioni della cucina con la scusa di fare i complimenti ai cuochi". Che brutto momento, accidenti.

Veltroni un'ora dopo arriva lui pure coi capigruppo (Finocchiaro impavida in viola) e col vice Franceschini. Parla a braccio molto veloce e con foga. E' convincente, sembra già in comizio. "Precipitare verso le elezioni anticipate non corrisponde ai bisogni del Paese. Vogliamo un'altra campagna elettorale infuocata, un governo di 13 partiti, 36 gruppi parlamentari? Elezioni oggi significa instabilità domani". Propone due ipotesi, scandisce i percorsi: elezioni l'anno prossimo o fra tre mesi, nel frattempo però riforme in versione xl o xs. Lo sa anche lui che è tutto inutile, però che peccato. "Servono scelte coraggiose, anche unilaterali", parla di sé, del Partito democratico. "Ci vuole uno choc di innovazione". Uno choc, intanto. Per l'innovazione vedremo.

(30 gennaio 2008) - La Repubblica

Nessun commento: