giovedì 24 gennaio 2008

Fine dell'Impero Romano? Intanto leggiamoci la dolce Concita.


Il giorno più lungo degli amici-nemici
di CONCITA DE GREGORIO

E' la giornata dei risentimenti. Personali prima che politici o tutte e due le cose insieme che ormai è lo stesso in una crisi di governo originata da una questione di famiglia.

Mastella, sua moglie incriminata, la vita politica che salta per aria per "amor coniugale", per così dire. Risentimenti antichi e recenti, fra amici e fra nemici: il più vistoso di tutti oggi è quello fra Prodi e Veltroni, seguono quello di Dini verso gli alleati ingrati, quello di Diliberto inascoltato, Fisichella sottovalutato, Casini troppo a lungo isolato. Il più risentito di tutti è Mastella, ovviamente: Mastella devoto al Papa a Bagnasco, ora che pareva che il signore di Ceppaloni tornasse nella casa a centrodestra Berlusconi e Casini se lo rimpallano come un invitato inatteso: prendilo tu, no grazie tu. C'è da innervosirsi, effettivamente.

Se stentate a seguire, se non riuscite a capire quel che sta succedendo nelle nebbie dei Palazzi state sereni, per una volta: siete in numerosa se non buona compagnia. Alle nove di sera, ieri sera, nemmeno i ministri lo sapevano. Mussi, Fioroni, Bindi, il vice di Padoa Schioppa Vincenzo Visco interrogati dai cronisti sul senso della giornata e sulle intenzioni di Prodi allargavano le braccia dando ciascuno una risposta diversa: Prodi agirà secondo coscienza, no secondo convenienza, no secondo le indicazioni di Napolitano il Presidente. Santagata, il più prodiano dei ministri, si domandava "che convenienza avrebbe il presidente a dimettersi dopo aver incassato 51 voti di maggioranza alla Camera: per dare soddisfazione a chi?". A Veltroni, forse? A chi vuole sostituirlo? Ecco: a chi conviene?

Bisogna allora ripartire dalla cronaca di una giornata infinita che comincia con Napolitano e con Napolitano finisce. Isolare qualche fotogramma: vediamo. La mattina il capo dello Stato celebra a Montecitorio i 60 anni della Costituzione. Seduta solenne, aula imbandierata. Ci sono tutti: Giulio Andreotti ed Emilio Colombo col bastone, Scalfaro Ciampi e Cossiga, Rita Levi Montalcini accolta in aula da un applauso. Le mogli dei presidenti Napolitano Marini e Bertinotti nel palco sopra i mariti. Veltroni in quello di fronte, fra le autorità ospiti. Il discorso è solenne come si conviene all'occasione. La settima parola è "crisi", la sesta "acuta". Il paese vive un momento di "acuta crisi" e "incertezza politica". Berlusconi sui banchi invia un messaggio col telefonino, Giuliano Amato candidato (con Marini) a guidare il governo istituzionale eventualmente prossimo venturo lo guarda in viso, unico dei ministri voltato verso di lui. Napolitano dice che bisogna fare le riforme, farle con un "concorso di volontà" fuori "dallo spirito di parte". I governi e le alleanze passano, la Costituzione resta. Applausi, compostezza e condivisione come a Montecitorio non si vede mai. Scena seconda: al Quirinale, all'ora di pranzo, sale Prodi. Napolitano invita il presidente del Consiglio a dimettersi prima di essere sfiduciato al Senato, riferisce chi è informato del colloquio. Prodi risponde che vuole prima vedere cosa succede alla Camera. Scena terza, la Camera. Finirà con 51 voti a favore del governo, inizia con le dichiarazioni di voto.
Per l'Udeur di Mastella parla Antonio Satta.

Contrariamente all'annuncio della vigilia non chiede la sfiducia né annuncia voto contrario: i deputati assenteranno, annuncia. E' molto diverso: non è un no. Il discorso di Satta è pieno di omaggi al Papa e al Vaticano, dice che "la linea moderata dell'Udeur è stata mortificata dagli alleati", fa lui per primo riferimento a Veltroni e all'ormai celebre discorso di Orvieto in cui il leader Pd ha annunciato che alle prossime elezioni correrà da solo, senza i "piccoli". Prodi prende appunti. Seguono, in diretta tv così che gli italiani sappiano, altri cinque interventi che indicano in Veltroni il responsabile della decisione di Mastella di uscire dal governo: Diliberto, esplicito. Maroni: i suoi inalberano ad uso dei fotografi la Padania che dice "Elezioni". Casini ("il segno del fallimento del suo governo l'ha dato Veltroni"), Fini. Il clima è tale che Soru capogruppo dell'Unione è costretto a dire che "non ci sono agenzie di stampa" che confermino che il Pd sia contrario all'alleanza di governo. Ilarità fra i banchi di centrodestra.

Quando parte il voto per chiamata nominale in Transatlantico è già in fase avanzata la conta (il mercato) dei voti per l'indomani al Senato. Bordon voterà sì, Pallaro l'argentino non viene. Fisichella vota no ("Forse memore del suo passato", commenta Fini). La Svp sì ma resta "fuori dai blocchi". Andreotti dice che Prodi ce la farà (vota sì) e così pure Cossiga, che attribuisce il possibile successo a "un virus di walterveltronite" tra i banchi di Forza Italia. Dini vota no anche perché spera che un possibile incarico nel nuovo governo tocchi a lui. Il diniano D'Amico dice sì, invece. Conta e riconta i voti non è certo che ci siano, anzi. D'Alema oggi non sarà in aula col governo, va ai funerali di Boldrini a pronunciare l'orazione funebre. Gli uomini di Fassino riassumono: la maggioranza al Senato è quanto mai incerta meglio sarebbe se Prodi rinunciasse alla prova in aula e si dimettesse prima. Nessuno lo dice, tutti lo mormorano. Fioroni il ministro commenta che "con una maggioranza di 51 voti alla Camera è difficile dimettersi", Prodi che convenienza avrebbe, a questo punto meglio giocarsi il tutto per tutto. Bindi osserva che "sarebbe uno sgarbo per il Senato non sottoporsi al voto".

I prodiani vogliono andare fino in fondo. Bossi dice che Prodi "ha chiesto il voto a Maroni e Calderoli", non è credibile, tutt'al più l'ha chiesto, e ad alta voce, a Bruno Tabacci che allargando le braccia gli ha risposto di no. Casini aspetta di capire quale legge elettorale sia eventualmente proposta: se una che conviene all'Udc o meno. Gianni Letta, come sempre, si incarica delle trattative riservate: un governo Prodi per fare le riforme e voto a giugno. Il presidente del Consiglio si prende la notte per averne consiglio. Sarà stamattina da Napolitano, di nuovo: un passaggio al Colle prima di andare in aula coi conti aggiornati al minuto. Berlusconi gongola. Se non fosse per la madre così malata (domani il compleanno, 97) sarebbe davvero un giorno di gloria.

Concita De Gregorio - La Repubblica

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